lunedì 17 aprile 2017

2t-8-Il tramonto della Scolastica

Le slides e la Dispensa














































Giovanni Duns Scoto

In questo contesto si muove Giovanni Duns Scoto (Duns, 1266  Colonia, 1308) filosofo e teologo scozzese. Duns Scoto appartiene all’ordine dei mendicanti per eccellenza, i Francescani che insieme ai Domenicani portano la parola di Dio nelle città e quindi nelle Università.

La Vita

Ascoltiamo direttamente da BENEDETTO XVI  che nell’UDIENZA GENERALE, in Aula Paolo VI, Mercoledì, 7 luglio 2010 ci parla del Beato Giovanni Duns Scoto.
“Scoto nacque probabilmente nel 1266 in un villaggio, che si chiamava proprio Duns, nei pressi di Edimburgo. Attratto dal carisma di san Francesco d’Assisi, entrò nella Famiglia dei Frati minori, e nel 1291, fu ordinato sacerdote. Dotato di un’intelligenza brillante e portata alla speculazione - quell’intelligenza che gli meritò dalla tradizione il titolo di Doctor subtilis, “Dottore sottile”- Duns Scoto fu indirizzato agli studi di filosofia e di teologia presso le celebri  Università di Oxford e di Parigi. Conclusa con successo la formazione, intraprese l’insegnamento della teologia nelle Università di Oxford e di Cambridge, e poi di Parigi, iniziando a commentare, come tutti i Maestri del tempo, le Sentenze di Pietro Lombardo. Le opere principali di Duns Scoto rappresentano appunto il frutto maturo di queste lezioni.
Da Parigi si allontanò quando, scoppiato un grave conflitto tra il re Filippo IV il Bello e il Papa Bonifacio VIII, Duns Scoto preferì l’esilio volontario, piuttosto che firmare un documento ostile al Sommo Pontefice, come il re aveva imposto a tutti i religiosi. Così – per amore alla Sede di Pietro –, insieme ai Frati francescani, abbandonò il Paese.
Tuttavia, i rapporti fra il re di Francia e il successore di Bonifacio VIII ritornarono ben presto amichevoli, e nel 1305 Duns Scoto poté rientrare a Parigi per insegnarvi la teologia con il titolo di Magister regens. Successivamente, i Superiori lo inviarono a Colonia come professore dello Studio teologico francescano, ma egli morì l’8 novembre del 1308, a soli 43 anni di età, lasciando, comunque, un numero rilevante di opere.
A motivo della fama di santità di cui godeva, il suo culto si diffuse ben presto nell’Ordine francescano e Giovanni Paolo II volle confermarlo solennemente beato il 20 Marzo 1993, definendolo “cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione”. In tale espressione è sintetizzato il grande contributo che Duns Scoto ha offerto alla storia della teologia.

Fede e Ragione, Teololgia e Filosofia

Ricordiamo che proprio a Parigi si viveva allora lo scontro fra tre correnti di pensiero che cercavano di spiegare e di spiegarsi il rapporto fra Fede e Ragione e fra Filosofia e Teologia.
La prima corrente è quella di coloro che volevano surrogare la Teologia con la Filosofia, cioè che vedevano la Filosofia come matrice della Teologia, cioè la Teologia doveva essere letta con i criteri e i parametri tipici della Filosofia (ragione pura). Averroè e Avicenna, fra i principali studiosi arabi di Aristotele, avevano tentato di conciliare la religione islamica con la metafisica di Aristotele, con grande onestà intellettuale, ma furono considerati eretici dall’Islam ed eretici dal Cristianesimo perché ponevano la Ragione al di sopra della Teologia che pur avevano in alta considerazione. Tommaso vedeva in Averroè e Avicenna gli interpreti di un aristotelismo laico che si opponeva alla fede cristiana non più di quanto non si opponesse all'ortodossia islamica.
Di parere contrario erano ovviamente gli Agostiniani che dichiaravano l’opposto, era la Filosofia che poteva essere spiegata dalla Teologia, quindi era la Filosofia ad essere surrogata dalla Teologia.
Il terzo filone è quello dei Tomisti che invece cercano di equilibrare il tutto con un accordo fra Fede e Ragione: la fede sostiene la ragione e la ragione sostiene la fede.
Giovanni Scoto non è d’accordo con nessuna delle tre. Egli ritiene che questo disaccordo è dovuto ad un motivo principale. Non si è tenuto conto che Filosofia e Teologia hanno campi di indagine e di riferimento distinti, non sovrapponibili, cioè profondamente diversi.
Per Duns Scoto la Filosofia è la Filosofia e la Teologia è la Teologia. Nasce confusione quando i due spazi non sono ben definiti.
LA FILOSOFIA studia l’ente in quanto ente, l’esistente, ciò che è, e tutto ciò che ad esso può essere ricondotto.
LA TEOLOGIA non studia l’esistente, ma solo ciò che ci viene dato dalla rivelazione di Dio, cioè gli “articula fidei”. Questi non vanno dimostrati, ma vanno fatti. Serve persuadersi che sono indispensabili per la nostra vita spirituale. Dimostrare come funziona la realtà è compito della Scienza, dell’Episteme, che indaga la realtà. La Teologia ha il compito di comprendere quelle che sono gli oggetti della fede e di viverli. La Filosofia è una scienza speculativa perché studia il necessario, cioè cerca di comprendere ciò che è. La Teologia la possiamo invece immaginare come una scienza pratica che ci dice quali sono le vie da seguire per raggiungere la salvezza eterna, cioè la felicità per la quale siamo stati creati e che completerà la nostra esistenza terrena per iniziare la nostra vera vita al cospetto di Dio.



Per Duns Scoto:
La Filosofia non migliora se rimane sotto il controllo della Teologia, né la Teologia diventa più rigorosa se ne utilizza il metodo o se ricerca l’oggetto della Filosofia.
Per sant’Agostino e per San Tommaso invece la Teologia è la scienza massima, è la più alta e la più degna. Tommaso ci ha anche detto che qualora la Filosofia si trovasse in disaccordo con la Teologia, sicuramente c’è stato un errore nella logica del ragionamento filosofico, non certamente nella verità rivelata.
Giovanni Duns Scoto vuole qui ridare autonomia alla Ragione, cioè recuperare il compito che i greci avevano attribuito alla Filosofia. Filosofia scienza suprema, filosofia palestra per l’intelletto.
L'intelletto (dal latino intellectus,-us, derivato dal participio passato del verbo intellìgere = intellègere, composto da intus e lègere che significa «leggere dentro»), genericamente può essere definito come la facoltà della mente umana di intendere, concepire pensieri, elaborare concetti e formulare giudizi, cogliere l'essenzialità che è all'interno (intus) delle cose e dei fatti.
La Teologia è una scienza pratica che vuole persuadere a “volere seguire” le verità di fede. Quindi è più basata sulla Volontà che non sull’Intelletto. La volontà fa agire, l’intelletto fa capire e può essere un buon ausilio alla presa di decisione, ma non è essenziale come invece lo è per la Filosofia.
La volontà mira a fare (scienza pratica), l’intelletto mira a conoscere (scienza speculativa).
Possiamo indagare ciò che Dio ha creato, ma non possiamo indagare la fede con la ragione. Scoto fa l’esempio di Abramo che non obbedisce a Dio perché segue la sua coscienza che gli indica la legge naturale  (per esempio non uccidere), ma segue Dio che gli chiede, contro ogni legge naturale e di buon senso, di sacrificargli l’unico figlio. Abramo uomo giusto e di grande fede perché fa la volontà di Dio, molto più che saggio e intelligente. La legge naturale diventa quella di seguire la volontà di Dio (unica legge naturale).

Libertà di Dio, Volontà di Dio

Attenzione però, questa volontà di Dio, non pone Dio al di là del bene e del male, cioè che può fare tutto e il contrario di tutto come è nella concezione islamica di Dio. Non è cioè un Dio che non è vincolato a nulla e può cambiare le regole a suo esclusivo piacimento.  Scoto spiega che il Dio cristiano è si libero, anzi totalmente libero, ma vuole muoversi entro la dimensione umana dell’intelletto.
Duns Scoto è preoccupato di salvaguardare la grandezza di Dio e di evitare che l’Uomo lo abbassi alla sua dimensione. Per questo cerca di restringere il campo del necessario, della realtà. Il necessario, o meglio ciò di cui non possiamo fare a meno, è di fatto un ristringimento della nostra libertà. Al contempo allarga la dimensione in cui Dio vuole liberamente ciò che vuole. Il mondo dell’epistéme, cioè di ciò che l’Uomo può studiare, viene volutamente ridotto all’osso da Scoto, in modo che l’accento cada principalmente su tutto il resto, cioè sulla Grandezza di Dio, sulla libertà con cui Dio vuole le cose.
Giovanni Duns Scoto: “Nell’animo umano esistono intelletto e volontà. Il rapporto fra essi è tale che cronologicamente l’atto di conoscenza precede l’atto di volontà. Non si vuole nulla se prima non è conosciuto. Non si può negare però che nulla sia tanto in potere della volontà che la volontà stessa. Ora stabilito che è alla volontà che spetta il primato, cos’è meglio “volere il Bene” o “conoscere il Bene”? Conoscere cos’è il Bene non rende necessariamente buoni. Volere il Bene e farlo invece si. Inoltre la volontà è più perfetta dell’intelligenza, perché la corruzione della volontà è peggiore rispetto alla corruzione dell’intelligenza. È più grave odiare Dio o non conoscerlo?
Proprio per la dignità decisiva della nostra volontà, la responsabilità delle nostre azioni è così grande. Qual è allora la potenza più nobile, la volontà o l’intelligenza? La Volontà!”.

Benedetto XVI ci parla di Duns Scoto

Riprendiamo dall’UDIENZA GENERALE, di BENEDETTO XVI  che in Aula Paolo VI, Mercoledì, 7 luglio 2010 parla del Beato Giovanni Duns Scoto
Anzitutto, egli ha meditato sul Mistero dell’Incarnazione e, a differenza di molti pensatori cristiani del tempo, ha sostenuto che il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato. “Pensare che Dio avrebbe rinunciato a tale opera se Adamo non avesse peccato, - scrive Duns Scoto - sarebbe del tutto irragionevole! Dico dunque che la caduta non è stata la causa della predestinazione di Cristo, e che - anche se nessuno fosse caduto, né l’angelo né l’uomo - in questa ipotesi Cristo sarebbe stato ancora predestinato nella stessa maniera”. Questo pensiero nasce perché per Duns Scoto l’Incarnazione del Figlio di Dio, progettata sin dall’eternità da parte di Dio Padre nel suo piano di amore, è il compimento della creazione, e rende possibile ad ogni creatura, in Cristo e per mezzo di Lui, di essere colmata di grazia, e dare lode e gloria a Dio nell’eternità. Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente. Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione che valorizza maggiormente quest'ultima. Purtroppo, in autori successivi al nostro, tale linea di pensiero si sviluppò in un volontarismo in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta – come si evolse, appunto, successivamente a Duns Scoto – collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non è legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà, non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato. Comunque, la visione scotista non cade in questi estremismi: per Duns Scoto un atto libero risulta dal concorso di intelletto e volontà e se egli parla di un “primato” della volontà, lo argomenta proprio perché la volontà segue sempre l’intelletto.
Parlando ai seminaristi romani, ricordavo che “la libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell'umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell'epoca moderna” (Discorso al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 20 febbraio 2009).
Però, proprio la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti.
La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando la disposizione all’ascolto della Sua voce: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi”.

Il dogma dell'Immacolata Concezione


Duns Scoto è anche il cantore per eccellenza dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine. Il grande suo merito consiste nell'aver considerato il privilegio mariano non come realtà o verità a se stante, ma come parte o effetto della tesi cristologica principale, ossia come primo "frutto" della universale redenzione di Cristo. Concezione provvidenziale! La storia gli riconosce unanime tale merito.
Si racconta che alla Sorbona, sottoposto a un fuoco incrociato di domande capziose, l'umile francescano rispose con pensiero rigoroso e linguaggio sicuro e pacato. Espose la sua teoria con argomenti convincenti e suadenti, fondati sulla Scrittura e organizzati da una potente struttura logica. Alla sua esposizione, chiara e carica di tanto amore, nessuno osò più prendere la parola. Si elevò, invece, osannante un applauso trionfante in onore della Vergine Maria.
Al termine di questa breve presentazione di una questione così delicata, piace mettere brevemente in risalto il ruolo e l'influsso che Duns Scoto ha avuto nell'aprire una nuova "via" alla tesi immacolista, da meritarsi il titolo di "Cantore dell'Immacolata". E a tutti noto che la tesi "immacolista" prima di Duns Scoto non ha storia, anzi, eccetto la celebrazione liturgica che non aveva valore teologico, il sostenerla comportava l'accusa di eresia, perché l'opinione comune dei teologi scolastici negava esplicitamente tale possibilità. Almeno questo bisogna riconoscere: con Duns Scoto inizia la storia del dogma.
In mancanza di un intervento del Magistero; Duns Scoto applica a Maria un principio teologico molto significativo: una verità se non contrasta positivamente con l'autorità della Scrittura e della chiesa può attribuirsi alla Vergine. Questo principio innestato sul primato assoluto di Cristo permette l'approfondimento della verità dell'Immacolata Concezione di Maria, fino alla solenne dichiarazione dogmatica di Pio IX nel 1854. Non c'è alcun dubbio che Duns Scoto si colloca storicamente solo contro tutti in un ambiente, quello parigino, dove si affermava comunemente che Maria fosse concepita con il peccato originale.
Così Duns Scoto sintetizza la questione: «Dicitur communiter quod sic, propter auctoritates et propter rationes... Sed contra dico, quod Deus potuit facere, ut Maria numquam fuisset in peccato originali...»: (La comune opinione dei teologi è a favore della tesi macolista, fondata su argomenti d'autorità e su argomenti di ragione... Io al contrario affermo che Dio potè fare che Maria non fosse mai nel peccato originale...).
Al di là della simpatia o dell'antipatia non si può non prendere atto di una situazione storica: contro la dottrina comune, Duns Scoto prende posizione. La sua tesi, più favorevole alla Vergine Maria sfocerà, poi, nel dogma. Per questo viene considerato anche come il "vero iniziatore" della storia del dogma.

Guglielmo d’Ockham

Detto il doctor invincibilis (dottore invincibile) o il venerabilis inceptor (venerabile iniziatore), entrò nell'ordine francescano in giovane età, studiò all'Università di Oxford fra il 1307 e il 1318, intraprendendo l'insegnamento, in seguito, nella medesima università.
Guglielmo, accusato di eresia, subì un processo ad  Avignone  nel 1324 da parte della Inquisizione, a seguito del quale cinquantuno sue enunciazioni teologiche vennero condannate dal pontefice Giovanni XXII. Fu successivamente assolto da Papa Clemente VI  l'8 giugno 1349. Ad Avignone, dove soggiornò per quattro anni, conobbe Michele da Cesena, il ministro generale dell'ordine francescano, che condivideva con lui l'idea che le comunità cristiane potessero avere in uso dei beni ma mai possederli, secondo la dottrina della povertà evangelica, un'idea radicale non completamente accettata dal papato.
Di conseguenza, ad evitare "reprimenda" del Papa, nel maggio 1328 Guglielmo si ritirò a Pisa, dove entrò al seguito dell'imperatore Ludovico il Bavaro al cui fianco si era schierato nella controversia tra l'Impero ed il Papato.
Lì arrivò la scomunica da parte del papa, dopo la quale Guglielmo decise di seguire l'imperatore andando con lui a Monaco di Baviera, seguito anche da Michele da Cesena, con il quale continuò la polemica contro la Chiesa. Morto l'imperatore e il generale francescano, Guglielmo cercò di riavvicinare le sue posizioni a quelle della Chiesa, ma morì nel 1349 prima che questo riavvicinamento si compisse.
È l’ultima figura importante della Scolastica e al contempo la prima figura importante della Filosofia moderna.
Guglielmo d’Ockham dichiara impossibile l’accordo tra Ricerca filosofica e Verità rivelata. Già Duns Scoto aveva in qualche modo aperto questa strada col suo distinguo fra Filosofia e Teologia.
La ragione non è più capace di risalire dal mondo a Dio. Questo perché la nostra ragione è legata sempre alla realtà. Da questa realtà non può elaborare concetti universali e strade che conducano a Dio solo razionalmente.
È la spiritualità francescana che vede le creature tutte sullo stesso piano della creaturalità e della povertà. Non c’è più una gerarchia, non c’è più la capacità conoscitiva dell’Uomo di risalire dalle cose note a quelle non note, cioè dalle perfezioni visibili a quelle invisibili. (San Tommaso)
in Ockham si trovano 3 posizioni che in qualche modo si riconnettono tra loro:
a) nominalismo, ossia il negare l'esistenza degli universali;
b) separatismo, ossia l'inconciliabilità tra fede e ragione;
c) volontarismo, ossia la prospettiva secondo la quale Dio può tutto e ha stabilito tutto secondo il suo volere e la sua insindacabile libertà.
Ockhman è convinto dell'indipendenza di fede e ragione e porta alle estreme conseguenze quella linea di pensiero che aveva già perseguito Duns Scoto. Ovvero le verità di fede non sono per nulla evidenti e la ragione non le può indagare. Solo la fede, dono gratuito di Dio, può illuminarle. Ma se tra Dio ed il mondo non possiamo porre alcun legame, se non la pura volontà di Dio, ne consegue che l'unica conoscenza è la conoscenza dell'individuo.
Se la conoscenza non è universale ma dell'individuo, ne consegue:
·         crollano i sistemi aristotelici e tomisti
·         si negano i concetti di sostanza
·         non ha senso parlare di "potenza" ed "atto"
·         la conoscenza è solo empirica
·         svolta nominalista nella disputa sugli universali
·         la Scolastica volge davvero al tramonto: uno dei pilastri era infatti l’indagine razionale della fede, istanza che Ockham nega.

Il verticalismo della Scolastica, cioè la capacità di elevarsi verticalmente verso l’alto, rappresentato dalle grandi Cattedrali Gotiche, viene messo in discussione, non senza accuse di eresia.

Dio oltrepassa i limiti della conoscenza dell’Uomo e quindi tutti gli impianti metafisici che ci aiutano ad andare oltre ciò che vediamo vengono abbattuti dall’empirismo dell’inglese Guglielmo (si chiamerà poi empirismo inglese).

 

Confronto delle tesi di Ockham con quelle di San Tommaso.


Per Guglielmo noi abbiamo l’intuizione delle cose sensibili, quindi la nostra ragione coglie solo ciò di cui ha esperienza e ciò di cui si ha esperienza è sempre e solo individuale (nominalismo). Non ci sono quindi generalizzazioni conoscitive (gli Universali). Non posso risalire dagli enti individuali, unici e irripetibili, a generalizzazioni che mi spiegano lo stesso ente individuale. Per esempio la “natura umana” è già un concetto che per Guglielmo è un di più, di fatto ci sono solo uomini individuali.

Guglielmo è un “nominalista”. Infatti se conosciamo solo la realtà sensibile:

1.     la realtà sensibile è fatta di enti unici e irripetibili, liberi da qualunque concetto universale,
2.     la nostra mente non è in grado di elaborare delle universalizzazioni conoscitive,
3.     La nostra mente rimarrà sempre e soltanto ancorata al particolare che vede e tocca.

Questo è quello che fa la ragione, questa è la sua ricerca.
Ne consegue che la Filosofia perde la sua capacità di elevarsi a Dio. La Filosofia è un procedimento solo razionale ancorato ai sensi e questi percepiscono solo una realtà individuale

Il “rasoio di Ockham”

La metafora del rasoio concretizza l'idea di Guglielmo che sia opportuno, dal punto di vista metodologico, eliminare con tagli di lama e mediante approssimazioni successive le ipotesi più complicate.
In questo senso il principio può essere formulato come segue:

1.     « A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire »
2.     « Non moltiplicare gli elementi più del necessario. »
3.     « Non considerare la pluralità se non è necessario. »
4.     « È inutile fare con più ciò che si può fare con meno. »
In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità.
Vengono così tagliate, come da un rasoio, le possibilità dell’Uomo di generalizzare e astrarre conoscitivamente quelle vie che poi conducono a Dio.
Nasce con Ockham una vera e propria critica alla metafisica e al tomismo in particolare, che caratterizzerà tutta la filosofia moderna che qui ha il suo inizio.

Gli Universali

Per quel che riguarda gli universali Guglielmo d’Ockham nega totalmente la loro esistenza: non esistono né  in re, né post rem, né ante rem: per lui gli universali sono una inutile moltiplicazione della realtà: per Ockham bisogna evitare tutto ciò che è inutile. Ma come si può fare a meno degli universali per spiegare la realtà? Pare assai difficile, ma Ockham ci prova, grazie all' introduzione di due concetti:
1) intentio e 2) suppositio.
La intentio è la caratteristica propria dei segni di possedere un significato: gli universali non ci sono, ci sono solo realtà individuali: la parola "uomo" è una realtà individuale, che, scritta, altro non è che un insieme di macchie di inchiostro e si riferisce alla parola detta: se la si legge suona nell'aria "uomo": è una realtà individuale che vibra nell'aria (Flatus vocis) e si riferisce ad un concetto, quello di uomo che io ho nella testa: non è un universale, però si riferisce agli uomini: il concetto uomo, di per se individuale, si può riferire a più persone: non esistono universali, ma funzioni universali con la caratteristica di potersi riferire e tendere ad altre.
C'è poi la suppositio (dal latino subpono = metto al posto di): i segni sono ciò che può stare al posto di qualcosa d’altro; per esempio dire "Socrate è un uomo" per Platone e Aristotele significava che Socrate partecipava dell'idea di uomo, e che la forma uomo era una cosa individuale che partecipava di una cosa universale. Per Ockham vuol dire che la parola "Socrate" sta al posto di quella particolare cosa che è Socrate in carne e ossa: parlando o scrivendo sostituiamo le realtà di cui parliamo con parole o macchie di inchiostro. Anche per la parola "uomo" è lo stesso: la si usa per sostituire gli uomini in carne e ossa, alcune cose stanno al posto di altre quando sono un segno o naturale o artificiale di quelle cose; si parla di segni artificiali quando, ad esempio, vediamo un cavallo ed esso ci lascia un "segno" nella nostra testa e questo segno non sarà solo più segno di quel determinato cavallo (segno naturale) , ma anche di tutte le cose simili (gli altri cavalli).


La nozione di Sostanza.

La Sostanza è quel qualcosa che sta sotto (sbstantia) a tutti gli accidenti (accadimenti) che di un ente vedo. La sostanza è qualcosa che sta sotto ciò che appare di un ente, che non è sempre evidente perché si manifesta a noi attraverso i suoi accidenti, il colore, la durezza o morbidezza, la forma, le dimensioni, ecc. (Aristotele e San Tommaso)
Guglielmo taglia tutto questo, per lui il concetto di sostanza è un di più, ci basta la percezione che abbiamo dell’ente così come si manifesta a noi. Perché complicarci la vita con il concetto di Sostanza come con quello degli Universali? Non ne abbiamo bisogno. Per conoscere la realtà ci basta l’intuizione sensibile che ho di questa realtà. “È dannoso moltiplicare gli enti”.  “Non moltiplicare gli elementi più del necessario”.
Per spiegare un certo ente mi rifaccio solo a ciò che di questo ente vedo. Questo è l’empirismo che nega quindi la possibilità di andare oltre le cose o aggiungere altro ad esse. È opportuno rimanere fermi all’ente individuale.

Principio di causa effetto

Aristotele e Tommaso d’Aquino appoggiano la loro dimostrazione sull’esistenza di Dio proprio su questa catena di cause ed effetti che non può risalire all’infinito, ma che ha la sua prima causa assoluta in Dio “motore immobile” o “Colui che è, increato perché creatore”.
Guglielmo attacca anche questo principio perché lo vede inutile e non necessario, aggiunto “forzatamente”. Noi non vediamo i rapporti di causa effetto, vediamo solo dei fatti, vediamo che ad un fatto ne segue un altro, ma da qui a dire che uno è causa dell’altro è solo un aggiunta in più. Un ente (inutile) in più. Hume farà poi un esempio, che ora ci aiuta a capire il pensiero di Ockham, cioè quello della palla di biliardo che quando colpisce le altre palle quelle si muovono in direzioni diverse e siamo portati a dire che la prima palla è stata la causa del movimento delle altre e delle loro rispettive direzioni (effetto). Hume dirà (in perfetta sintonia con Ockham): “ma no, tu vedi che accade una cosa, che ad un certo fatto ne segue un altra. Cioè fai esperienza di questo, ma non si può generalizzare, perché non sappiamo se sia sempre così. Potrebbe esserci un caso in cui una palla colpita non si muova”.

Il concetto di causa finale

San Tommaso ci dice che il fine costituisce una causa in quanto amato e desiderato da colui che agisce. Guglielmo controbatte: “ma che il fine sia amato e desiderato, non significa che esso agisca effettivamente in qualsiasi modo. La causalità del fine è solo metaforica, non reale. Non posso sapere se quell’ente si muove perché va verso un fine. Ho semplicemente aggiunto qualcosa per spiegare qualcos’altro”. Ricordando uno dei principi del “rasoio di Ockham”, “È dannoso e inutile moltiplicare gli enti”, anche il concetto di Causa finale, così caro a Tommaso, viene raso al suolo.
Vengono quindi tagliati tutti gli enti anche quelli logici che cercano di spiegare la realtà (quelli di San Tommaso, per intenderci: “l’ente può essere logico (concettuale) e reale (extramentale). L’ente logico funge da unione tra più concetti).

Il volontarismo

Centro del pensiero di Ockham è il volontarismo, la concezione secondo cui Dio non avrebbe creato il mondo per "intelletto e volontà" (come direbbe Tommaso d'Aquino), ma per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, secondo la sua imperscrutabile volontà, senza né regole né leggi, che ne limiterebbero, secondo Ockham, la libertà d'azione. Dio crea dal nulla Adamo e gli dà simultaneamente esistenza ed essenza. Il nominalismo si lega radicalmente al volontarismo: implica una onnipotenza totale, dove Dio non è vincolato neanche più dall'apparato ideale della sua mente e può davvero tutto: tutto dipende esclusivamente dalla sua volontà.
È vero che in natura ci sono delle forme di regolarità (le leggi fisiche); queste leggi potrebbero essere pensate come essenze della realtà e si potrebbe dire che non è Dio a decidere che vadano così : per esempio , ogni corpo tende a cadere verso il basso , e quindi anche una penna cadrà verso il basso. Ockham era pienamente cosciente di ciò ma tuttavia arrivava a dire: "è vero che ogni corpo cade verso il basso, ma se Dio volesse diversamente non sarebbe così" : Dio può cambiare le regole a suo piacimento perchè non ha vincoli. È vero che ci sono delle leggi fisiche (potenza ordinata), ma tuttavia Dio può stravolgerle, pensiamo ai miracoli (potenza assoluta). Ockham continua a condividere l'idea della finitezza dell'universo (egli è un aristotelico), però con la totale onnipotenza attribuita a Dio mette in crisi questa concezione: egli arriva infatti a dire: "il mondo è finito, ma sarebbe infinito se Dio che può tutto l'avesse voluto infinito".
Il fondamento ultimo della polemica antimetafisica di Guglielmo d’Qckham, che si estende a tutto l’armamentario teorico e concettuale dei filosofi, non è solo costituito dall’empirismo, che comunque ne è la base, ma dal principio di economia che è il volontarismo teologico. Ne consegue che anche l'essere umano è del tutto libero, e solo su questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, i cui meriti o demeriti non possono in alcun modo influenzare la libertà di Dio. La salvezza dell'uomo non è quindi frutto della predestinazione, né delle opere dell'uomo; è soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano.

Il Papa è fallibile e non può attribuirsi alcun potere, né temporale, né spirituale, giacché la sola possibilità per l'uomo di salvarsi deriva dalla grazia divina. Nel Dialogus Guglielmo sostiene come l'imperatore sia superiore alle leggi, ma sottoposto al proprio popolo, il quale, nel caso in cui egli non rispettasse il principio dell'"equità naturale" era autorizzato a disubbidirgli. La delega che il popolo dava all'imperatore nell'esercitare il potere era quindi vincolata al suo buon operato e non assoluta.
Sulla base di questa premesse, Ockham applica il tradizionale principio medievale di semplicità della natura per eliminare tutto ciò che contrasta col volontarismo. Vanno quindi superati, perché superflui e astratti, concetti come "essenza", "legge naturale", ecc. Si tratta dell'applicazione del principio economico dell'eliminazione dei concetti superflui per spiegare una realtà intesa volontaristicamente: è mediante questo procedimento, sinteticamente definito il Rasoio di Ockham, che l'intelletto umano può e deve liberarsi di tutte quelle astrazioni che erano state ideate dalla scolastica medievale.

Il volontarismo teologico

Il Volontarismo teologico è la convinzione che il mondo procede dalla volontà misteriosa e sovrarazionale di Dio. Guglielmo afferma: “io sono convinto che Dio ha fatto il mondo in un certo modo perché così ha voluto e non perché questo fosse il modo più razionale, più conforme al Logos (Ragione), da cui e per cui tutte le cose sono state create. Io penso che Dio ha voluto così per un uso liberissimo della sua volontà della quale non deve rendere conto a nessuno e tantomeno all’Uomo. Io per forza  non riconosco nel mondo una razionalità. Il mondo non è visto come costruito da “perché logici”, quindi il filosofo non può pretendere di capire l’essenza e il fine dei fenomeni. Il filosofo si deve limitare a capire e studiare come il mondo è e non perché è così”.
Siamo di fronte ad una vera e propria anticipazione o inizio della filosofia moderna, infatti Galileo Galilei dirà che lo scienziato, colui che studia il mondo, non si deve chiedere il perché delle cose, ma semplicemente limitarsi a descrivere il come le cose funzionano. Lo scienziato moderno è colui che abbandona qualunque finalismo e si limita a dire come si svolgono i fenomeni. Descrivere è diverso da spiegare.
La scienza medica, per esempio, si limita a dirci come si sviluppa una patologia e quale terapia conseguente per guarire, ma non perché ti ammali e perché questa ci richiama sempre la morte e il perché della morte.
Dio, secondo Guglielmo, poteva volere un altro mondo e con altre regole. Anche questo non andrebbe capito, ma solo spiegato per quello che è. Questo vuol dire che il filosofo deve solo prendere atto della realtà, non deve più cogliere con la ragione le orme della ragione divina che ha fatto il mondo. La ragione, la intelligenza, la volontà non sono più dono di Dio e quindi analoghe a quelle di Dio, cioè simili anche se fortemente inferiori e limitate, ovvero che possiedono la stessa origine e quindi in grado di avvicinarci in qualche modo a Dio.
Questa tesi quindi mette in discussione la volontà di Dio di lasciarsi raggiungere anche razionalmente dall’Uomo o la sua volontà di non lasciarsi raggiungere decidendo di volta in volta quello che nella sua infinita libertà vuole o non vuole fare. Il Dio di Ockham è simile a quello Islamico, questi è in effetti un Dio che decide di volta in volta cosa vuole fare senza alcun perché. È completamente libero di dire e di fare qualunque cosa e di non dover attenersi a nessuna regola o principio o alleanza con l’Uomo.
Il Dio cristiano invece, si obbliga a tener fede alla sua alleanza con l’Uomo e gli offre la scala della Ragione e quella della Fede per poterlo raggiungere, anzi è venuto lui stesso in terra (incarnazione) per farsi conoscere, capire ed amare. Ma questo per Ockham è un problema puramente teologico e che nulla deve avere a che fare con la filosofia.
Dopo Guglielmo d’Ockham la filosofia non penserà più a Dio e alla metafisica, ma si aprirà ad altri ambiti, cioè tornerà ad indagare la natura. Infatti nell’Umanesimo e nel Rinascimento dal punto di vista della Filosofia abbiamo tre grandi autori come Telesio, Bruno e Campanella che si occupano dello studio della natura. La filosofia dell’essere di San Tommaso non è più spiegata attraverso principi esterni all’essere stesso, come il Logos, la legge Divina inscritta nella natura, la razionalità. La natura si spiega “iuxta propria principia” (Telesio) cioè secondo i suoi stessi principi.
Ocknam ci invita a conoscere le cose individualmente, senza mettere di mezzo concetti universali, perché non esistono. I nostri concetti sono segni naturali (“flatus vocis” dicevano i nominalisti), come il fumo è un segno del fuoco. I nostri concetti non sono reali, sono dei segni che servono e stanno al posto di qualcosa. Per esempio invece di dire “dammi questo ente” ci è più comodo dire “dammi questo libro”. La parola “libro” è solo un segno convenzionale che sta al posto (supposizio) di una cosa ben precisa con sue caratteristiche uniche, individuali e irripetibili.

Rottura della sintesi tra spirito greco e spirito cristiano


(Dalla contestata “Lectio magistralis” di Benedetto XVI  all'Università di Ratisbona. 12 settembre 2006).

“Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze (Guglielmo d’Ockham. ndr) che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la “voluntas ordinata” (la volontà con la quale ha ordinato il mondo ma che per Ockham non è razionale. ndr). Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto.
Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazn (994 1064, filosofo, teologo arabo dell'epoca andalusa, pensatore della scuola islamica zahirita. Ibn Hazm è considerato il padre fondatore degli studi comparativi sulle religioni e noto per la sua interpretazione dei testi religiosi rigidamente  grammaticale  e sintattica. ndr)  e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. (Guglielmo d’Qckham arriverà a dire che Dio poteva anche permettersi di ordinare la bestemmia e noi avremmo dovuto bestemmiare, perché la volontà di Dio è imperscrutabile e non possiamo obbligarlo a decidere secondo ragione. ndr).
La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia (non una univocità dell’essere come anche Duns Scoto aveva affermato. ndr), in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio (cfr Lat IV 1215).

Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore di fatto,  "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-logos, per cui il culto cristiano è λογικὴ λατρεία – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1)”.

Ockham e il pensiero contemporaneo

(Tratto da Emanuele Severino  “La Filosofia dai greci al nostro tempo” – BUR)
Per la cultura contemporanea il mondo è qualcosa che deve essere inventato, prodotto, trasformato (Marx dice per es. che i filosofi hanno fino ad ora diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di trasformarlo. ndr). L’Uomo non intende più adeguarsi ad un ordinamento eterno che prestabilisce una volta per tutte il corso e il senso dell’esistenza, ma diventa il produttore di tutti gli ordinamenti e li sovverte di continuo (non c’è più un ordine oggettivo, una legge eterna, una legge naturale. San Tommaso non viene più studiato. Non c’è più un ordine a cui adeguarsi. É l’Uomo il creatore dell’ordine. ndr). L’adeguarsi ad un Ordine eterno, pietra di paragone di ogni modo di vivere, era invece la caratteristica essenziale della tradizione dell’Occidente (abbiamo già visto che la caratteristica basilare della filosofia greca e di quella medioevale è il realismo: l’essere è indipendente dal pensiero e il pensiero si adegua all’essere, all’essere per come è. La Verità è Alètheia, è qualcosa che si mostra, che è evidente. Mentre ora è l’Uomo che costruisce l’ordine del mondo. Ndr). Ma il percorso dalla tradizione all’età moderna non è rettilineo: è un saliscendi ( ma di fatto in Guglielmo d’Ockham ormai c’è già quasi tutto. Ndr).
Il nostro tempo vuole liberare il divenire degli uomini e della natura: liberazione da ogni ordine eterno, teologico, metafisico, politico, economico che pretenda dominare il divenire (cioè la convinzione che non c’è un ordine che mi spiega il divenire. Il divenire è libero è svincolato da qualunque ordine. Ndr) e che finisce poi col renderlo apparente, vanificandolo.
Oggi per lo più, si vede in Dio il prototipo di ogni ordine eterno (Dio è colui che è: l’artefice di ogni ordine. ndr). Se e poiché l’Uomo è il creatore del suo mondo, avvertirà Nietzsche, non può esistere alcun Dio. Liberare il divenire significa innanzitutto salvare l’uomo dalle pretese di Dio.
Perché Nietzsche dice che “Dio è morto” (fine ‘800)? Perché è morto qualunque Ordine, qualunque Verità. Il nostro ormai è un eterno precipitare in un baratro senza riferimenti o appigli. Il nuovo Uomo di Nietzsche è colui che sopravvive a questa situazione e che diventa quindi artefice del suo mondo e accetta di vivere senza Verità.
In Ockham questo discorso si presenta in modo completamente rovesciato. E tuttavia l’esigenza fondamentale di questo pensatore è proprio quella di liberare il divenire della realtà di ogni Ordinamento presupposto all’esperienza del mondo. Ma per Ockham Dio non è il prototipo degli ordini eterni che soffocano la libertà del divenire. All’opposto,  Dio è la fonte stessa del divenire: pura e libera Volontà che crea ogni ordine e senso della realtà e che quindi non è sottoposta ad alcun ordine e ad alcun senso.
Per Ockham, chi soffoca e rende apparente il divenire non è Dio, ma il falso sapere dell’Uomo, quello offerto dalla cultura tradizionale, che ha il suo centro nel pensiero greco. Tale cultura si illude di costruire una Scienza logico metafisica (l’epistéme) capace di ricondurre la varietà e il libero movimento delle creature all’Ordine unitario e immutabile dell’esistenza. Ecco perché questo atteggiamento che unifica, domina e livella la varietà del divenire è già presente nel modo in cui la logica e la metafisica tradizionali intendono i loro strumenti: i concetti universali. Anche il concetto universale ha la pretesa di riportare il differenziarsi di un certo insieme di cose ad una unità rigida che funzione come l’Ordine eterno al quale quell’insieme non può sfuggire. Il nemico del divenire non è Dio, ma la Metafisica, cioè la falsa conoscenza di Dio e dell’essere, che ignora l’infinita libertà e potenza creatrice di Dio.
Proprio perché Dio è libero da ogni ordine e legge, egli crea ogni cosa del mondo senza dover tener conto delle altre cose: ogni creatura è prodotta isolatamente, assolutamente, libera dalle altre. Poiché Dio è libertà infinita, non esiste tra le cose alcun nesso necessario che debba essere scoperto dalla conoscenza umana.
Quindi Ockham ha dato il via a tutto questo per salvaguardare la trascendenza di Dio, per non costringerlo a stare dentro i parametri dei nostri ragionamenti, per non abbassarlo al nostro livello, ma di fatto lo ha allontanato dagli uomini lasciando gli uomini in balia di loro stessi. Un treno viaggia sicuro sui suoi binari perché sa che lo porteranno alla meta anche se per ragioni tecniche il percorso non è libero e non è il più diretto, deve affrontare salite, curve e semafori, ma è certamente il percorso più sicuro. Ockham ha gettato via la bussola al navigatore nel bel mezzo della fitta nebbia, per renderlo libero di andare dove vuole (?). Tutta la modernità sarà impegnata ad abbattere quella grande, immensa e irripetibile costruzione del pensiero che è stato il mondo greco fecondato dalla filosofia e dalla religione cristiana, percepita come liberticida dagli uni e liberatrice e salvatrice dagli altri.

La filosofia cristiana dal I  al XIV  sec.

(Quadro di sintesi della Filosofia cristiana a cura del Prof. Marco Giunti della Società Filosofica Italiana che vuole presentarci in modo schematico e sintetico il periodo che abbiamo appena affrontato)
Deposizione di Benedetto Antelami nel Duomo di Parma

Con la prima diffusione del Cristianesimo, cominciò ad affiancarsi alla tradizione filosofica greca una nuova tradizione, quella della filosofia cristiana. Tale tradizione, nata nel I sec. d.C., è tuttora esistente.
Essa diventò la forma di filosofia dominante in occidente a partire dalla fine del V sec. d.C., quando, a seguito degli sconvolgimenti culturali e sociali dovuti alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.), la tradizione filosofica greca si esaurì. L'evento che può essere preso come simbolo del definitivo tramonto della tradizione greca è la chiusura della scuola neoplatonica di Atene (529 d.C.) da parte dell'imperatore d'Oriente Giustiniano, fervente seguace della fede cristiana. La filosofia cristiana restò dominante in occidente fino a tutto il XIV sec.
Soltanto a partire dalla fine di quel secolo, con l'Umanesimo ed il Rinascimento, la filosofia cristiana perse il suo primato e fu nuovamente affiancata da altri tipi di indagine che, idealmente, si ricollegavano all'antica tradizione greca e che, per molti aspetti, la rinnovarono realmente.
  • II carattere che distingue più nettamente la tradizione filosofica greca dalla nuova tradizione cristiana è il seguente:
    • tutta la grande tradizione filosofica greca, dalle sue origini con la scuola ionica (tra la fine del VII e l'inizio del VI sec. a.C., a Mileto) fino alla sua conclusione con la scuola neoplatonica di Atene (tra la fine del V e l'inizio del VI sec. d.C.), si fonda su un'indagine razionale pienamente libera, cioè una ricerca che non accetta alcun limite posto dal suo esterno. I filosofi della tradizione greca si sentono cioè pienamente liberi di indagare razionalmente ogni campo del reale e, attraverso questa libera indagine, arrivano quindi a conclusioni che sono dettate soltanto dalla loro ragione. Ovviamente, tali conclusioni sono tuttaltro che univoche, ma ciò non toglie che, pur nella loro molteplicità e reciproca contraddittorietà, siano tutte il risultato dell'uso libero e spregiudicato della ragione;
    • al contrario, la filosofia cristiana si costituisce fin dall'inizio come indagine all'interno del campo delimitato dalle verità determinate dalla fede. Essa non è dunque una ricerca pienamente libera di costruire le proprie verità, in quanto, presupponendo il quadro dottrinario delle verità rivelate, può svilupparsi e progredire soltanto nel rispetto dei vincoli posti da tale quadro. Come già detto, la rottura di tali vincoli ed il ritorno ad un atteggiamento di completa libertà intellettuale, avviene soltanto alla fine del medioevo, con la civiltà dell'Umanesimo e del Rinascimento. (come preannunciato discuteremo su queste valutazioni e su altre proprio con il “lume della ragione” e ne testeremo la credibilità come già fatto su altri punti).
La filosofia cristiana fra i secoli I e XIV d.C. viene usualmente suddivisa in due periodi: Patristica e Scolastica.
1.     Patristica
o    è il periodo dal I sec. fino all'epoca Carolingia esclusa (cioè, fino a circa la metà dell' VIII sec.);
o    il termine Patristica si riferisce al pensiero dei padri della Chiesa, cioè a quei primi esponenti della gerarchia ecclesiastica che, negli ultimi secoli dell'età antica e nei primi secoli del medioevo, dettero una forma stabile e precisa al corpo dottrinale cristiano;
2.     Scolastica
o    è il  periodo dall'epoca di Carlo Magno fino alla fine del XIV sec.;
o    il termine Scolastica si riferisce alla filosofia delle scuole, cioè alle teorie insegnate e discusse in una serie di nuove istituzioni educative che cominciarono a diffondersi nell'Europa cristiana a partire dalla rinascenza carolingia (fra la fine dell'VIII e l'inizio del IX sec.);
§  il primo modello delle nuove istituzioni educative fu la scuola Palatina, fondata da Alcuino (York 735 - Tours 804) presso la corte di Carlo Magno ad Aquisgrana. Due decreti (capitolari) di Carlo Magno del 787 e 789 resero poi obbligatoria l'istituzione di scuole presso le abbazie (situate fuori delle città), le basiliche suburbane e le cattedrali cittadine. Queste ultime furono dette anche scuole episcopali in quanto sottoposte all'autorità del vescovo;
§  fu proprio dalle più importanti scuole cattedrali che, dopo la rinascita urbana dell'anno mille, si svilupparono le Università. Tipico è il caso delle scuole cattedrali di Parigi, fra cui quella di Notre Dame. A Parigi, nell'anno 1200, i maestri e gli studenti di tutte le scuole cattedrali si riunirono in un unico corpo, dando così vita all'università di Parigi. In essa, si insegnavano le sette arti liberali, divise nel trivio (dialettica o logica, grammatica e retorica) e nel quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), ma anche il diritto, la medicina e la teologia;
§  l'università di Oxford nacque poco dopo sul modello di quella di Parigi. Successivamente, un gruppo di studenti e maestri di Oxford, trasferitosi a Cambridge, costituì l'omonima università;
§  in Italia, l'università di Bologna nacque prima di quella di Parigi dall'unione dei soli studenti delle scuole cittadine, i quali eleggevano un rettore, che assumeva i maestri con contratti regolari. Le altre università italiane seguirono in genere il modello organizzativo di Bologna;
§  l'università di Bologna fu un importante centro di studi giuridici ma, per quanto riguarda gli studi filosofici e teologici, il primato indiscusso spettò a Parigi.
La Patristica, a sua volta, può essere suddivisa in tre periodi: quello della difesa contro pagani e gnostici, quello della formulazione dottrinale delle credenze cristiane e, infine, quello della trasmissione della cultura cristiana al mondo medioevale.
1.     La difesa contro pagani e gnostici
o    è il periodo che, all'incirca, comprende il I ed il II sec. d.C.;
o    nei primi due secoli dell'era volgare, mentre nell'Impero Romano il Cristianesimo era perseguitato violentemente dal potere statale, dal punto di vista dottrinale, si poneva il problema della sua difesa nei confronti delle posizioni della religione pagana e di quelle della tradizione filosofica greca;
o    in quegli anni, la corrente della gnosi (Basilide, Valentino e altri) tendeva a interpretare lo stesso Cristianesimo alla luce del pitagorismo e del neoplatonismo;
§  infatti, per gli gnostici, la salvezza dell'uomo non dipendeva sostanzialmente dalla fede ma, piuttosto, dalla conoscenza filosofica degli esatti rapporti fra Dio, le sue emanazioni (o eoni, fra cui Gesù) ed il mondo, secondo uno schema di tipo neoplatonico;
o    contro i pagani e gli gnostici reagirono i padri apologisti, fra cui possiamo ricordare Giustino (110 circa - 163 o 164) e Tertulliano (160 - 240 circa), che affermavano l'impossibilità di ridurre la dottrina cristiana ai risultati razionali della filosofia.
o     
2.     La formulazione dottrinale delle credenze cristiane
o    è il periodo che, grosso modo, va dall'inizio del III sec. alla prima metà del V sec.;
o    in questo periodo il Cristianesimo precisa sempre meglio il suo corpo dottrinale e tende ad inserire i capisaldi fondamentali della fede all'interno di sistemi organizzati e coerenti. E' dunque in questo periodo che si può parlare più propriamente della nascita dei primi sistemi di filosofia cristiana. In generale, tali sistemi hanno forti connotati platonici o neoplatonici ma incorporano anche alcuni elementi stoici;
o    fra i più importanti esponenti di questo periodo, possiamo ricordare Origene (185-254), Gregorio di Nissa (IV sec.) e, soprattutto, S. Agostino (354-430), con il quale l'edificazione del corpo dottrinale cristiano raggiunge il suo culmine.
o     
3.     La trasmissione della cultura cristiana al mondo medioevale
o    è il periodo che va dalla seconda metà del V sec. fino alla prima metà dell'VIII sec.;
o    l'inizio di questo periodo è segnato dalla rapida decadenza della vita culturale che, dopo la caduta dell'Impero Romano (476), tende sempre di più a rinchiudersi all'interno della cerchia ristretta dei conventi e dei monasteri. Nel contempo, la tradizione filosofica greca perde la sua autonomia e si esaurisce di fatto. La trasmissione della grande eredità culturale del mondo antico a quello medioevale avviene come attraverso un forte filtro: in questo modo, gran parte di tale eredità viene in effetti perduta;
o    fra la fine del V e l'inizio del VI sec. si diffusero una serie di scritti attribuiti falsamente a Dionigi l'Areopagita, un discepolo di S. Paolo morto martire e membro dell'Areòpago (alta corte di giustizia la cui sede si trovava sull'omonima collina di Atene, ad ovest dell'Acropoli). A causa di questa falsa attribuzione, essi sono comunemente detti gli scritti dello pseudo Dionigi. Tali scritti sono storicamente molto importanti, in quanto esercitarono una grande influenza su tutta la successiva filosofia cristiana (essi vennero tradotti in latino da Scoto Eriugena). In essi, si trova uno dei più sistematici tentativi di sintesi fra Cristianesimo e neoplatonismo, specialmente nella versione di Proclo;
o    dello stesso periodo sono anche le opere di Severino Boezio (480-525), consigliere del re Ostrogoto Teodorico, poi da lui incarcerato e ucciso in quanto sospetto di congiura. Il più importante scritto di Boezio è il De consolatione philosophiae, in cui sono fusi elementi cristiani, platonici, stoici e aristotelici. Esso contribuì in modo determinante a far conoscere la logica aristotelica al pensiero medioevale, includendo in essa anche la trattazione dei sillogismi ipotetici stoici, secondo il modello già adottato da Galeno;
o    Cassiodoro (490 circa -583 circa), anch'egli appartenente all'ambiente della corte di Teodorico, scrisse una serie di influenti opere di sintesi;
o    oltre che attraverso gli scritti dello pseudo Dionigi, di Boezio e Cassiodoro, la trasmissione della cultura cristiana si attuò anche mediante una serie di compendi o scritti di tipo enciclopedico che vennero redatti a partire dal VI sec. e fino a tutto l'VIII sec. Fra gli autori di tali testi, usualmente piuttosto rozzi e disorganici, possiamo ricordare Isidoro di Siviglia (560-636) e l'inglese Beda il Venerabile (673-735).
All'interno della Scolastica si possono distinguere quattro diverse fasi: la prescolastica, l'alta scolastica, il culmine della scolastica e la crisi della scolastica.
1.     La prescolastica
o    è il periodo che va dalla rinascenza carolingia (fine dell'VIII - inizio del IX sec.) fino a tutto il X sec.;
o    i due più importanti esponenti della rinascenza carolingia sono Alcuino di York (730-804) e Giovanni Scoto Eriugena (810 circa - 877);
§  Alcuino fu chiamato nel 781 da Carlo Magno a dirigere la scuola Palatina; fu autore di vari manuali che ebbero notevole diffusione nei secoli successivi; oltre alla scuola Palatina, fondò molte altre scuole in cui si insegnavano in modo sistematico le sette arti liberali;
§  la figura maggiore della rinascenza carolingia fu Scoto Eriugena, a capo della scuola Palatina durante l'impero di Carlo il Calvo (nato 823 - morto 877). Per suo tramite il mondo cristiano conobbe gli scritti dello pseudo Dionigi, che egli tradusse in latino. Il suo pensiero si ispira allo pseudo Dionigi, a Proclo, Plotino e S. Agostino;
o    la dissoluzione del Sacro Romano Impero (887: deposizione dell'ultimo imperatore discendente da Carlo Magno, Carlo il Grosso, da parte di un'assemblea di grandi feudatari a Tribur, vicino a Magonza) bloccò nuovamente, fra la fine del IX e l'inizio del X sec., la sviluppo della cultura in occidente. Una certa ripresa si ebbe solo con la ricostituzione del Sacro Romano Impero (Germanico) da parte di Ottone I il Grande (912-973; imperatore: 961-973);
o    a questa ripresa contribuì il movimento cluniacense, nuovo ordine religioso che ebbe origine dal monastero benedettino di Cluny (fondato nel 910) in Francia. A tale movimento appartenne anche Gerberto di Aurillac (930-1003), grande erudito che cominciò a rimettere in contatto la cultura latina con quella bizantina e araba. Gerberto divenne papa nel 999 col nome di Silvestro II.
2.     L'alta scolastica
o    è il periodo che comprende all'incirca l'XI ed il XII sec. Con la rinascita urbana dell'XI sec., la cultura cessò di essere monopolio quasi esclusivo dei monasteri e delle abbazie, e l'insegnamento cominciò ad organizzarsi principalmente intorno alle grandi scuole cattedrali delle città, fino ad arrivare, alla fine del XII sec., alla costituzione delle prime università;
o    l'XI sec. fu caratterizzato da una forte rinascita nello studio della logica e della dialettica aristoteliche, che cominciarono ad essere applicate anche alle questioni teologiche. Si sviluppò così una forte polemica fra dialettici e antidialettici. I dialettici volevano affidarsi alla ragione per intendere le verità di fede; gli antidialettici, al contrario si opposero a tali innovazioni, negando qualsiasi valore al ragionamento per quanto riguarda le verità rivelate. Il più importante esponente della corrente dei dialettici è Berengario di Tours (1000 circa - 1088); di quella degli antidialettici è Pier Damiani (1007-1072).
o    una posizione di compromesso fra le due posizioni fu sostenuta da San  Anselmo di Aosta (1033-1109);
§  egli, infatti, riconobbe alla ragione la funzione di chiarificazione della fede. Tuttavia, nel pensiero di Anselmo, la fede conserva il suo primato, in quanto essa indica alla ragione il contenuto della sua indagine (credo ut intelligam = credere per intendere).
§  Inoltre, Anselmo è rimasto famoso nella storia della filosofia per le sue prove dell'esistenza di Dio. Egli ne fornì due, una a posteriori (argomento dei gradi di perfezione) e una a priori (argomento ontologico). In particolare, l'argomento ontologico è stato discusso costantemente in tutta la tradizione filosofica successiva, fino ai nostri giorni. Fra coloro che rifiutano l'argomento ontologico possiamo ricordare: Gaunilone (monaco contemporaneo di Anselmo), S. Tommaso e, in epoca illuministica, Kant. Fra i sostenitori dell'argomento: Enrico di Gand (1217 circa - 1293), Alberto Magno e S. Bonaventura (filosofi scolastici); Cartesio, Spinoza e Leibniz (filosofi moderni); Hegel (filosofo romantico);
o    fra la fine dell'XI e l'inizio del XII sec. iniziò un'altra famosa disputa, quella sulla natura degli universali, originata dalla riflessione su un noto passo dell'Isagòge ( = introduzione) di Porfirio alle categorie di Aristotele.
§  Guglielmo di Champeaux (1070-1121) sostenne la tradizionale posizione realistica, di origine platonica, secondo cui gli universali sono realtà indipendenti, separate dagli individui, e che preesistono alla creazione nella mente di Dio;
§  Roscellino (1050-1120) sostenne invece una radicale posizione nominalista, secondo la quale gli universali non sono altro che nomi (flatus vocis) che, attraverso l'esperienza, vengono a indicare un gruppo di individui. Gli universali, in quanto nomi, non hanno quindi alcuna realtà superindividuale;
o    ll grande Abelardo (1079-1142),
§  intervenendo nella disputa sugli universali, sostenne una posizione intermedia fra nominalismo e realismo. Secondo tale posizione, l'universale è un concetto (sermo) a cui, negli individui da esso significati, corrisponde uno stato comune. Questo stato non è una realtà sostanziale o un'essenza ma, semplicemente, una condizione condivisa da tutti gli individui che cadono sotto l'universale. La posizione concettualista di Abelardo è di derivazione stoica;
§  per quanto riguarda la teologia, Abelardo sostenne che si può credere soltanto ciò che si può intendere (intelligo ut credam = intendere per credere), rovesciando così la formula di S. Anselmo;
o    le posizioni teologiche di Abelardo furono osteggiate con forza da S. Bernardo (1091-1153), fondatore della mistica medioevale, al quale l'indagine razionale dei filosofi scolastici apparve inutile e fuorviante. La vera conoscenza di Dio è ottenibile soltanto attraverso la via mistica, che si attua attraverso una serie di gradi culminanti nell'estasi. In essa, l'anima umana si perde in Dio, e l'uomo trascende così la sua corporeità.
o     
3.     Il culmine della scolastica
o    è il periodo che grosso modo comprende il XIII sec. ed esso è caratterizzato dalla graduale penetrazione e assimilazione, da parte della scolastica cristiana, della filosofia aristotelica;
o    a partire dal XII sec., le opere filosofiche e fisiche di Aristotele (metafisica, fisica, etica, politica), del quale prima si conosceva soltanto la logica, furono tradotte in latino, insieme a quelle dei suoi commentatori arabi Avicenna (980-1037) e Averroè (1126-1198);
o    in un primo momento, la diffusione dei testi aristotelici, che venivano letti e commentati nelle scuole e poi nelle università, provocò la reazione degli ambienti più tradizionalisti, che si irrigidirono sulle consuete posizioni platonico-agostiniane. I più importanti rappresentanti di questa prima reazione all'aristotelismo furono i francescani Alessandro di Hales (1170 circa - 1245), attivo a Parigi, e Roberto Grossatesta (1175-1253), attivo ad Oxford. Il movimento di ritorno all'agostinismo culminò poi con il pensiero di S. Bonaventura (1221-1274), anch'egli francescano, maestro a Parigi e amico di S. Tommaso, del quale tuttavia non condivise le teorie filosofiche;
o    in un secondo momento si arrivò invece ad una compiuta conciliazione fra aristotelismo e cristianesimo, specialmente ad opera dei due grandi maestri dell'ordine domenicano:
§  Alberto Magno (1206-1280), insegnò a Parigi e a Colonia;
§  e, soprattutto, il suo allievo S. Tommaso (1225-1274);
§  studiò a Parigi e Colonia con Alberto Magno e fu poi professore di teologia a Parigi;
§  con S. Tommaso, il pensiero scolastico raggiunse il suo culmine, producendo una nuova grande sintesi, che sostituì il fondamento aristotelico a quello tradizionale agostiniano-neoplatonico.
4.     La crisi della scolastica
o    è il periodo che va dalla fine del XIII sec. a tutto il XIV sec.; esso è caratterizzato dalla progressiva messa in discussione della grande sintesi fra ragione aristotelica e fede cristiana compiuta nel periodo precedente;
o    la prima grande figura che mise in discussione la funzione dell'aristotelismo per la fede cristiana fu Duns Scoto (1266-1308);
§  francescano, maestro a Oxford e Parigi;
§  egli affermò che la ragione non può servire a spiegare la fede, in quanto essa è limitata al dominio teoretico, mentre la fede appartiene a quello pratico;
o    la crisi della scolastica raggiunse il suo culmine con Guglielmo di Ockham (1290-1348 o1349);
§  francescano, studiò e insegnò a Oxford e, dal 1328, fu costretto a rifugiarsi a Monaco di Baviera sotto la protezione dell'imperatore Ludovico il Bavaro perché accusato di eresia;
§ 
egli dichiarò impossibile l'accordo fra verità rivelata e indagine filosofica sulla base di un empirismo radicale: infatti, secondo Ockham, ciò che oltrepassa i limiti dell'esperienza non può essere né conosciuto né dimostrato dall'uomo.
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Verità principali della fede cristiana

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ORIGINE E FINE DELLA VITA  
Dio ci ha creati. 
Dio è l'Essere perfettissimo ed eterno, pienezza e fonte di ogni bene, creatore e Signore di tutte le cose.   
Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e goderlo per sempre in paradiso.
I DUE MISTERI PRINCIPALI DELLA FEDE
1 – Vi è un solo Dio in tre persone; Padre, Figlio e Spirito Santo. (Unità e trinità di Dio)
2 – Il Figlio, rimanendo vero Dio, si è fatto anche vero uomo, chiamato Gesù Cristo, e come uomo ha patito, è morto ed è risorto per redimerci dai peccati.
(Incarnazione, passione, morte e resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo)
I DIECI COMANDAMENTI DI DIO
Io sono il Signore Dio tuo: 
1 – Non avrai altro Dio fuori di me. 
2 – Non nominare il nome di Dio invano. 
3 - Ricordati di santificare le feste. 
4 - Onora tuo padre e tua madre. 
5 - Non uccidere. 
6 - Non commettere atti impuri. 
7 - Non rubare. 
8 - Non dire falsa testimonianza.  
9 - Non desiderare la donna d'altri. 
10- Non desiderare la roba d'altri. 

I CINQUE PRECETTI DELLA CHIESA
1 - Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate. 
2 – Rispettare i tempi e giorni di penitenza. 
3 - Confessarsi almeno un volta all’anno comunicarsi almeno a Pasqua. 
4 - Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno in base alle proprie possibilità.  
5 - Non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti.
I SETTE SACRAMENTI
1 - Battesimo 
2 - Confermazione o Cresima 
3 - Eucaristia 
4 - Penitenza o Riconciliazione 
5 - Unzione degli infermi 
6 - Ordine 
7 - Matrimonio
I DUE PRECETTI DELLA CARITÀ
1 - Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.  
2 - Amerai il tuo prossimo come te stesso.
I SETTE PRECETTI DI MISERICORDIA CORPORALE
1 - Dar da mangiare agli affamati   
2 - Dar da bere agli assetati  
3 - Vestire gli ignudi  
4 - Alloggiare i pellegrini 
5 - Visitare gli infermi  
6 - Visitare i carcerati  
7 - Seppellire i morti
I SETTE PRECETTI DI MISERICORDIA SPIRITUALE
1 - Consigliare i dubbiosi. 
2 - Insegnare a chi non sa. 
3 - Ammonire i peccatori. 
4 - Consolare gli afflitti. 
5 - Perdonare le offese. 
6 - Sopportare pazientemente le persone moleste. 
7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti.



LE TRE VIRTÙ TEOLOGALI
1- La Fede 
2 - La Speranza 
3 - La Carità
LE QUATTRO VIRTÙ CARDINALI
1- La Prudenza 
2 - La Giustizia  
3 - La Fortezza 
4 - La Temperanza
I SETTE DONI DELLO SPIRITO SANTO
1 - Sapienza  
2 - Intelletto  
3 - Consiglio  
4 - Fortezza  
5 - Scienza 
6 - Pietà  
7 - Timor di Dio
LE BEATITUDINI EVANGELICHE
1 - Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 
2 - Beati gli afflitti, perché saranno consolati. 
3 - Beati i miti, perché erediteranno la terra. 
4 - Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. 
5 - Beati i misericordiosi , perché troveranno misericordia. 
6 - Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 
7 - Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 
8 - Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (M t 5,3-10)
I SETTE VIZI CAPITALI
1 - Superbia 
2 - Avarizia 
3 - Lussuria 
4 - Ira 
5 - Gola 
6 - Invidia 
7 - Pigrizia o Accidia



I QUATTRO NOVISSIMI
1 - La Morte 
2 - Il Giudizio 
3 – L’ Inferno 
4 - Il Paradiso
I PECCATI CONTRO LO SPIRITO SANTO
1 - Disperazione della salvezza. 
2 - Presunzione di salvarsi senza merito. 
3 - Impugnare la verità conosciuta. 
4 - Invidia della grazia altrui. 
5 - Ostinazione nei peccati. 
6 - Impenitenza finale.
I QUATTRO PECCATI CHE GRIDANO VENDETTA AL COSPETTO DI DIO
1 - Omicidio volontario. 
2 - Peccato impuro contro natura. 
3 - Oppressione dei poveri. 
4 - Defraudare la mercede agli operai.

Della gravità di questi ultimi se ne parla chiaramente nel Catechismo di San Pio X, ma sono più genericamente trattati nel CCC attuale anche se i telegiornali ci costringono a prendere atto di quanti gravi problemi sociali, morali e di quali catastrofi essi sono all’origine (dall’aborto, alle pulizie etniche, alla tratta di esseri umani, alle perversioni sessuali, allo sfruttamento dei più deboli, ecc.).

Programma della seconda Tappa: 
I Lumi del Medioevo

·         2t-6-San Tommaso d'Aquino (1)
·         2t-7-San Tommaso d'Aquino (2)


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