sabato 29 aprile 2017

2t-2-La nascita della Filosofia Cristiana























LA NASCITA DELLA FILOSOFIA CRISTIANA
Il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta. Così grande, così comprensiva e  profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi che non meraviglia che sia apparsa o che possa ancora apparire come un miracolo, una rivelazione dell’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane.
Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate, tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della Poesia, dell’Arte, della Filosofia, della libertà politica e Roma del Diritto, per non parlare delle più remote della Scrittura, della Matematica, della  Scienza astronomica, della Medicina e di quanto altro si deve all’Oriente e all’Egitto.
Le rivoluzioni e le scoperte che seguirono in tempi moderni non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana e in relazione di dipendenza da lei, alla quale spetta il primato. La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’Anima, nella Coscienza morale, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza quasi parve che lei acquistasse una nuova Virtù, una nuova qualità spirituale che fino allora era mancata all’umanità.
Gli Uomini, i Geni, gli Eroi che furono innanzi al cristianesimo compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze, ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana.
Tratto da “Perché non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce,1942.
Noi oggi ci troviamo immersi in una cultura che non vede il Cristianesimo come ce lo ha descritto Benedetto Croce, che non è certo un uomo di fede. La Cultura odierna anzi asseconda l’idea del Medioevo, come un periodo di circa 1000 anni, senza storia, fra due epoche che invece considera molto più determinanti e ricche  come  quella  greco romana (età classica) e il Rinascimento (età moderna). Il nome Medio Evo, attribuitogli molto tempo dopo dagli storici, vuole appunto significare “terra di mezzo”, insignificante, fra due epoche straordinarie.
Di conseguenza ci portiamo dietro una considerazione del Medio Evo come un periodo di “secoli bui”, pieno di oscurità, arretratezze, ignoranza, imbarbarimento, superstizioni, crudeltà e insignificanza, cioè periodo dal quale non emerge nulla di particolare, anzi un forte rallentamento del cammino umano.
Anche se non è molto evidente, gli storici di oggi non sono più su questa linea. Tuttavia questa considerazione del Medio Evo fa ancora molto comodo a chi vuol rimanere indifferente alla proposta cristiana e a chi la vuol combattere, perché la sente come una minaccia alla propria libertà di fare i propri interessi e di seguire le proprie passioni (quelle che il cristianesimo condanna ovviamente).
Noi però proviamo a ragionare. Il Medio Evo va dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476 d.C., anno in cui Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augustolo, alla Scoperta dell’America (1.492 d.C.). È un periodo di circa 1.000 anni che è la metà del periodo dalla nascita di Cristo ad oggi, e già questo non può essere definito un periodo di transizione fra un’epoca e l’altra.

LA DISTRUZIONE DELL'IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE, DI THOMAS COLE.

Se andiamo poi a vedere come questo periodo è partito, ci accorgiamo che con la caduta dell’Impero romano ci trovavamo in una situazione di decadimento tale da poterla paragonare a quella di un paese sottosviluppato, devastato e senza nulla  più da dire e da dare. Cioè una Società che non c’è più, senza una classe dirigente, la scrittura quasi assente, i Barbari che fanno il bello e il cattivo tempo, quindi povertà e devastazione.
Se osserviamo poi la situazione dell’Europa all’inizio del nuovo periodo, cioè del Rinascimento, ci accorgiamo di una situazione completamente capovolta. Non possiamo pensare quindi che in questi mille anni non sia successo nulla di interessante, così come non possiamo non pensare che questa epoca è stata invece una epoca di grande progresso e di ricomposizione morale, civile ed economica quasi miracolosa.
Vediamo che in questo periodo di Medio Evo cristiano, per esempio sorgono le Università, nasce la grande poesia (La Divina Commedia, ecc. …), vengono realizzati gli Ospedali, si sviluppano Monasteri per tutta l’Europa, nei quali si copiano le sacre scritture, gli scritti dei Padri della Chiesa, ma anche indistintamente le opere filosofiche e letterarie pagane. Accanto ai Monasteri sorgono  le Scuole “pubbliche” per i figli dei Contadini. Contadini che bonificano i terreni vicini seguendo le pratiche dei monaci che inventano nuove tecniche di ingegneria agraria, che preparano distillati e farmaci, che aprono la via alla Chimica, alla Farmaceutica, all’Erboristeria, alla Botanica, ecc. Non parliamo poi della magnificenza delle Cattedrali medioevali e delle relative opere d’arte che non ci parlano del buio, ma della splendente luce di Dio che fanno trasparire.
Evidentemente c’è stata una così forte e ben congegnata campagna denigratoria da parte di ideologie anticristiane che sono riuscite per qualche secolo, e molte tuttora, ad oscurare i benefici della rivoluzione cristiana.
Ma torniamo all’interrogativo che ci preme: cosa è successo che ha fatto nascere questa rivoluzione? Molto semplicemente arrivano a Roma e in altre località dell’Occidente persone che testimoniano di aver conosciuto il Figlio di Dio e di averlo visto prima morire e poi risorgere, seguiti da altri che si professano credenti di questi fatti. Attenzione, non filosofi che propagano dei ragionamenti o dei pensieri, ma persone spesso molto semplici che nella loro ricerca della Verità si sono convinte che è sicuramente Vero quello che ha fatto e detto il Figlio di Dio fattosi uomo come noi e testimoniato da chi gli è stato vicino.
Persone quindi che credono e divulgano il concetto che la Salvezza non viene dalla Conoscenza, patrimonio di pochi filosofi, ma dalla Sapienza a cui tutti possono attingere, ignoranti e intellettuali, analfabeti e scrittori, schiavi e padroni, perché tutti figli adottivi dello stesso Dio e redenti da suo Figlio.
È sì sempre vero che la felicità è del filosofo che conosce la Verità e trova in essa la felicità, ma ora siamo di fronte ad una VERITÀ che Dio stesso ci ha permesso di conoscere, anzi, che per amore vuole farci conoscere e che è alla portata di tutti, Filosofi o Servi analfabeti.
Questa è la rivoluzione che si propaga, ma che scombina gli equilibri sociali tenuti insieme da un accentramento dei poteri di autorità costituite sorrette da caste che governano tenendo i sudditi nell’ignoranza e nella divisione dei vari ceti sociali, cosa ancora attuale oggi in tutte le parti del mondo.
Da subito infatti il cristianesimo, con il suo concetto di uguaglianza, è per questo contrastato e temuto, come sovvertitore dell’ordine sociale e in occidente impiegherà circa 300 anni a imporsi come religione ufficiale e permessa in tutta l’Europa.
Il concetto di Persona, fa parte di questa rivoluzione. Prima il valore di un individuo era misurato in funzione della sua posizione sociale (come oggi del resto). In parole povere un individuo contava per quante persone erano a lui soggette. Chi invece era subordinato agli altri (cioè a uomini o donne di ranghi elevati) come le donne non blasonate, i bambini, i vecchi, i servi, i contadini, i poveri e gli schiavi non valeva nulla e poteva essere usato in qualunque modo.
Con l’avvento del concetto di Persona, che vede ogni uomo creato e voluto da Dio, uguale ai suoi occhi a quelli di tutti gli altri, degno di attenzione e amore, qualunque sia la sua posizione sociale, la rivoluzione prende sempre più piede, specialmente fra gli ultimi che finalmente ricuperano una loro dignità e possono vantare di avere un Dio Padre che ha mandato suo Figlio a salvarli.
Ben presto però anche alcuni uomini di potere e di rango elevato, vengono toccati da questa speranza di salvezza e contribuiranno ad ospitare e proteggere i cristiani e gli apostoli, spesso subendo il martirio per questo.
Per inciso, gli stessi israeliti non avevano chiaro il concetto di Persona ed erano influenzati nei loro giudizi dalle differenze sociali, intellettuali ed economiche (vedi la Samaritana al pozzo).  Queste novità portano l’occidente ad aprirsi alla cultura greca e alle sue conquiste sulla Verità e sull’uso appropriato della Ragione, chi per polemizzare con il cristianesimo, chi per sostenere la Fede in Cristo proprio con la ragione.
Infatti c’è chi dirà che in fondo il cristianesimo è una sorta di sincretismo della filosofia greca, cioè ha preso un po’ qua e un po’ là alcuni concetti dei filosofi greci e li ha tenuti insieme ad una ipotetica rivelazione divina. Anche qui è molto improbabile che pescatori sicuramente ignoranti di filosofia, come di altre materie, si possano essere inventati una religione così diversa da quelle esistenti e così legata ad una cultura filosofica patrimonio di pochi dotti.
Possiamo invece dire che verrà usato molto del rigore del ragionamento dei greci per definire e meglio comprendere i contenuti del messaggio cristiano, preservarlo dal Fideismo (fede senza nessun supporto razionale) e dal Razionalismo (considerazione parziale della realtà, cioè raziocinio che esclude la componente spirituale dell’uomo e il trascendente).
Il cristianesimo mutua infatti diverse cose dalla Filosofia greca. Mutua cioè Il livello e il modo con cui ragionare, rigoroso e votato alla ricerca della Verità. I greci avevano avuto il merito di individuare un metodo onesto e sincero per raggiungere la Verità, ma mancava a loro la Fede nel Dio Amore, per dare un senso pieno alle loro fatiche. Fede che da soli non potevano darsi, ci voleva che Dio stesso togliesse quest’ultimo velo (come Platone aveva auspicato).
La Fede cristiana allora usa a piene mani gli strumenti razionali costruiti dalla Filosofia antica per rafforzarsi e farsi comprendere. Siccome per i cristiani Dio oltre che “Caritas”, cioè Amore, è prima di tutto  “Logos” cioè Ragione, l’uomo esercitando la ragione che Dio gli da può raggiungere Dio. Può cioè arrivare molto vicino al comprendere che il tutto esiste e funziona in un modo che necessariamente abbisogna di una mente ed una volontà ed una intelligenza al di sopra della nostra capacità di intendere e di volere. La Rivelazione divina completa l’ultimo tassello che manca all’uomo per conoscere Dio e per sostenerne l’esistenza e l’operato con la Ragione, cioè la Ragione a sostegno della Fede e la Fede a sostegno della Ragione. La Ragione dell’uomo è un riflesso di quella divina, è una partecipazione di quella divina.
Lo scopo di questi primi cristiani non è rafforzare la Verità, ma mettere delle basi a sostegno della Fede per non farla scivolare nel Fideismo e mortificare così l’intelligenza che Dio ci ha donato.
La Ragione quindi come arma per difendere, sostenere e rafforzare la Fede contro gli attacchi dei suoi nemici.
Le prime parole della Fides et Ratio di Giovanni Paolo II  sono:  “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo, il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso”. (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2).
Che fanno il paio con quelle della Veritatis Splendor: Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il salmista prega: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).
Tema questo che ancor oggi è campo di battaglia e argomento in continua discussione da parte di chi ha paura della Verità perché scombina i suoi progetti personali e ne evidenzia gli errori.
Questo ci fa notare anche come è più che necessario riprendere ad appropriarsi dell’uso della propria intelligenza e della propria ragione per rimanere saldi nella Fede aggredita ieri come oggi dai figli delle tenebre.
Con l’avvento del cristianesimo prende una forma decisiva la Teologia che abbandona le indagini sulle divinità troppo simili all’uomo e con gli stessi difetti, per diventare una vera e propria scienza che rappresenta una riflessione razionale del credente per esprimere la Verità su Dio e illuminare la Fede.
Dovremo poi distinguere la Teologia che ragiona intorno alla Dottrina della Chiesa Cattolica, da quella che si allarga su fronti che non le competono (come per esempio le proprie idee personali), in questo caso si può solo parlare di Filosofia della Religione, ma non di Teologia Cattolica a servizio della Verità dove la Ragione è l’ancella della teologia.
La Ragione è lo strumento per comprendere il mondo e per comprendere Dio. La ragione non è solo quella cosa che mi permette di conoscere il mondo, ma di comprendere me stesso, creato a immagine e somiglianza di Dio, di capire che ho un’anima e che la sua salvezza è la cosa più importante che ci sia e che mette in subordine tutto il resto. La Ragione quindi è la chiave di accesso alla salvezza. Non c’è Verità senza la Ragione.

Passaggio dal Politeismo Greco al Monoteismo Cristiano

Platone parlava di unicità, Plotino parlava dell’Uno, ma l’idea del Dio cristiano mette in campo la Trascendenza di Dio che non ci permette più di confondere ciò che è di Dio da ciò che non lo è. Dio è uno solo e non si può confondere nient’altro con Dio.
Con il cristianesimo nasce il concetto di creazione dal nulla. Grossa novità nell’ambiente ellenista e romano. Platone si figurava un Demiurgo che formava la materia, una materia che esisteva da sempre.
Nel Panteismo Dio sta in tutto.  Per gli Stoici Dio è anche la materia e potrebbe sembrare un concetto vicino al creazionismo, ma il cristianesimo afferma che Dio crea la materia, ma non è la materia.
Questo porta il ragionamento a definire che se Dio è al di fuori della materia, vuol dire che la materia è desacralizzata ed io ci posso mettere il naso per capirla, studiarla e usarla. Cosa che non posso fare nelle culture animistiche dove tutte le cose, animate e non, hanno un’anima e sono quindi sacre. In questo caso non potrà mai nascere una scienza.

Città italiana medioevale
Quindi la Scienza nasce in Europa e più precisamente in Italia con Galileo Galilei grazie al suo essere cattolico praticante, cosa che gli ha permesso di vedere la natura come dono di Dio da studiare, conservare (perché cosa buona) e da usare con rispetto. Quindi studiando ciò che Dio ha creato di buono io mi incammino verso Dio.
Per inciso, sappiamo che è stata l’invidia e la gelosia di alcuni colleghi di Galileo e di qualche ecclesiastico, nonché il suo carattere sanguigno, che lo hanno messo contro la Chiesa con la quale poi si è riconciliato. È interessante notare come gli assertori dei secoli bui del Medioevo hanno montato il caso Galilei (in particolare nella famosa opera teatrale: Vita di Galileo di Bertolt Brecht) per denigrare la Chiesa come causa di oscurantismo e non di luce come vedremo. Come si sono svolti veramente i fatti lo troviamo nel bel lavoro di Walter Brandmuller: Galilei e la Chiesa, Libreria Editrice Vaticana 1992.
Studiare il mondo è glorificare Dio. Anche questa è una rivoluzione rispetto per esempio a Platone e ad altre culture orientali nelle quali, la vita è dolore e la materia e il corpo umano sono dei vincoli dell’anima e dello spirito da cui ci libereremo solo con la morte corporea, oppure dalla quale non ci libereremo mai a causa della metempsicosi, cioè del passaggio dell’anima da un essere vivente all’altro. Anche l’eresia dei Catari userà questo concetto che la materia è la fonte di tutti i mali e ci si salverà solo con la purificazione da essa.
Il Dio cristiano invece crea le cose buone e le fa secondo ragione. Ne consegue una visione antropocentrica diversa dell’Uomo. L’Uomo ora è centro dell’universo. La visione dei greci invece era cosmo centrica, l’uomo non era la creatura più perfetta, ma parte della natura come tutto il resto, cioè l’uomo è un pezzo della natura, come verrà poi ripreso nel modernismo.
Sarà determinante il considerare l’Uomo come capolavoro di Dio e fatto a sua immagine e somiglianza, oppure considerarlo come un pezzo di natura o di materia uguale a tutti gli altri pezzi di natura o di materia. Ce ne accorgiamo oggi con tutte le problematiche che nascono intorno all’etica, alla bioetica, all’aborto, all’eutanasia, ecc.
Aristotele dice dell’Uomo: vi sono molte altre cose in natura più divine e più perfette dell’Uomo, come, per lo stare nelle cose più visibili, gli astri di cui si compone l’Universo.
Col cristianesimo abbiamo invece una visione piramidale, con al vertice l’Uomo e tutto il resto conseguente a lui, cioè con il mondo visto come creazione fatta per l’uomo e consegnata alle sue cure. Il mondo è un dono di Dio all’Uomo, ma per questo lo deve curare e conservare, usandolo correttamente.
Altro concetto è la visione rettilinea e progressiva del tempo. La filosofia cristiana parte dalla Genesi e trova il suo culmine nell’incontro con Dio, l’Apocalisse. Apocalisse deriva dal greco (apokalypsis), composto di apó ("separazione") e kalýptein ("nascosto"), che  significa un gettar via ciò che copre, un togliere il velo, letteralmente scoperta o rivelazione.
Questa visione si lascia alle spalle l’eterno ritorno del presente, cioè l’idea che tutto parte da un Principio e poi ritorna allo stesso per ricominciare poi daccapo, come Anassimandro e poi altri dopo di lui affermavano. Cioè consideravano la vita il luogo dove si doveva pagare il prezzo della propria colpa di esistere oltre a quello di avere un corpo che tiene prigioniera l’anima.
La Rivelazione cristiana porta con sé un nuovo modo di vedere la vita. La vita in continua progressione e non chiusa in un circolo ripetitivo, diventa allora uno stimolo a fare, a creare, a produrre, a scoprire, a cercare, ad innovare. Questo produrrà uno sviluppo favoloso della società occidentale. In testa a tutto vediamo un formidabile sviluppo della Scienza, che caratterizzerà non solo il medio evo, ma tutta la nostra cultura fino ad oggi, e questo grazie proprio all’apporto cristiano.
La martellante e continua campagna di molti scientisti contro la Chiesa, considerata ostacolo principale alla Scienza (tesi usata anche da Bertold Brect nella sua “Vita di Galileo”), è uno dei grandi falsi di cui si nutrono molti “opinion leader” e che serpeggiano nelle stesse Università dove le scienze sono nate e volute dalla stessa Chiesa che le ha fondate e costruite.
Il primato dell’occidente sul resto del mondo è stato dimostrato da studiosi in materia, essere la religione cristiana che ha lanciato l’uomo nella ricerca scientifica e nello stupore dello scoprire il “buono” che c’è in natura.
Rodney Stark, studioso americano, non cattolico, dimostra come alla base di “capitalismo”, “libertà politica” e “vera scienza” ci sia sempre il cattolicesimo e il suo rigore nell’uso della ragione.
Nella sua opera “La vittoria della ragione” (ed. Lindau), Stark affronta le questioni della nascita del capitalismo, della libertà politica e della scienza moderna, tre temi, secondo Stark, strettamente collegati. Che il capitalismo sia nato nel mondo protestante, per modernizzare la vecchia e polverosa Europa cattolica, come spesso si legge ancora sulla scia di letture spesso neppure di prima mano di Max Weber (1864-1920), è tesi da tempo abbandonata dagli storici e dai sociologi dell’economia. Si sa che nei comuni medioevali italiani, e prima ancora intorno ai monasteri, l’economia moderna era già fiorente secoli prima della sua presunta nascita, attribuita da Weber alla seconda generazione, battista e metodista, del protestantesimo (non già alla prima, luterana e calvinista),
Ma Stark va oltre. Sostiene da una parte che il cattolicesimo è alle origini non solo del capitalismo, ma anche della scienza e della nozione di libertà personale (senza le quali il capitalismo non sarebbe mai sorto), e dall’altra che semmai il protestantesimo ha danneggiato l’economia moderna nascente e ne ha ritardato il progresso.
I libri di testo scolastici, nota Stark, raccontano ancora che “l’Occidente è nato precisamente quando ha superato gli ostacoli religiosi al progresso, specialmente quelli che impedivano la scienza”. Stupidaggini: “il successo dell’Occidente, nascita della scienza compresa, riposa interamente su fondamenta religiose, e le persone che sono alle sue origini erano devoti cristiani”. Anche chi riconosce qualche merito al protestantesimo resta comunque vittima - scrive il sociologo americano, che personalmente non è né è mai stato cattolico - di un «anti-cattolicesimo accademico», che non accenna purtroppo a diminuire.
Dallo stesso libro ricaviamo una ricerca fatta da studiosi cinesi (sicuramente atei e di cultura comunista) per rispondere alla domanda del perché la cultura occidentale e stata per tanto tempo così avanti e così dinamica rispetto a tutte le altre. Perché cioè per così tanto tempo l’Occidente ha avuto una marcia in più rispetto all’Oriente.
Le risposte sono state:
1.   pensavamo che questo fosse dovuto al fatto che voi  possedevate armi più potenti delle nostre,
2.   poi abbiamo pensato che fosse perché avevate un sistema politico migliore,
3.   poi che fosse perché avevate un sistema economico più efficiente,
4.   ma poi abbiamo compreso che la vera risposta che giustificava davvero questo vostro primato, è che il cuore della vostra cultura è la vostra religione, il cristianesimo.
“Ecco perché l’Occidente è stato così potente, perché le sue basi morali cristiane nella vita sociale e culturale, sono state ciò che ha permesso l’emergere del capitalismo e la successiva transizione verso politiche democratiche. Non abbiamo alcun dubbio in proposito”.        
Per amore di cronca in un altro suo libro Stark sostiene che il cristianesimo si è imposto e ancora oggi prospera perché è una religione che offre una risposta alle domande che la vita pone agli uomini e lo fa in armonia con la ragione dell’uomo, la sua ricchezza spirituale e le sue aspettative di benessere materiale. (StarkIl trionfo del cristianesimo” ed. Lindau)

La Patristica
Nei primi secoli dopo Cristo la Filosofia occidentale vede il delinearsi di una nuova corrente di pensiero: la Dottrina Cristiana che prenderà il nome di Patristica, dal termine Padre, cioè dai Padri fondatori della Chiesa.
Le teorie filosofiche più diffuse in questa epoca sono ancora quelle derivate dalla cultura greca classica: il Platonismo e lo Stoicismo. Il Cristianesimo attingerà ad esse sia sul piano terminologico che su quello dei contenuti.
Così sant’Agostino dirà che la filosofia Platonica era stata quella che più si avvicinava al cristianesimo, soprattutto per la concezione dell’Anima e per l’oggettiva realtà ideale del bene oggetto di conoscenza e insieme supremo principio morale. I platonici inoltre denunciavano i culti politeistici come pratiche superstiziose e mettevano in evidenza l’unità, la spiritualità e l’assoluta trascendenza di Dio.
Il cristianesimo attinse largamente a questa impostazione aggiungendo però degli elementi che lo distinguevano in modo netto dalla Filosofia greca: la Rivelazione fondata su testi di origine divina: la Bibbia e la Fede che conduceva alla Salvezza. Il rapporto con il pensiero greco fu inizialmente discreto per poi evolversi fino a considerare la filosofia classica una premessa della Verità.

 

I Padri della Chiesa


Il Saggio, nell’età precristiana, è chiamato Maestro, qui ora il Maestro diventa Padre. Padre perché il cristianesimo concepisce sé stesso come una Sapienza, ma una  Sapienza che ti introduce in una nuova vita. Non si viene quindi ammaestrati quando si segue un Apostolo o un proclamatore del Vangelo, ma si viene generati. Ecco perché l’uso del termine Padre al posto di Maestro. Il termine Padre contiene il termine Maestro, ma è più grande.
Chi sono i Padri della Chiesa? Sono prevalentemente Vescovi (successori degli Apostoli) delle grandi comunità cristiane, delle grandi Chiese locali dell’area Mediterranea dei primi secoli del cristianesimo (qualcuno nemmeno sacerdote) e che sono stati punto di riferimento per le comunità che hanno appreso i fondamenti della fede da loro.
Perché parlare dei Padri della Chiesa e dell’era Patristica, all’interno di un percorso rigorosamente filosofico (non teologico)?
Perché l’epoca patristica è come un crogiuolo nel quale si fondono e danno vita ad una realtà nuova le conquiste della Filosofia greca, quelle più significative ed illuminanti della Filosofia latina, soprattutto nel loro aspetto pratico, cioè morale e giuridico, e il Cristianesimo.
La filosofia greca che ha un aspetto contemplativo nella ricerca dei principi e della Verità di Dio, dell’Uomo e del Mondo (la verità delle cose).
La Filosofia dei latini, più pratica e alla ricerca dei Valori etici e giuridici (della vita personale e della vita sociale).
La Rivelazione Cristiana che ci parla della Via da seguire per raggiungere la Verità e la Vita (piena), cioè la Felicità.
Dalla fusione di queste tre componenti del pensiero dell’epoca patristica nasce una nuova vita che caratterizzerà per sempre il mondo occidentale, sotto tutti gli aspetti, anche quando ci si ribellerà ad essa. Dal V secolo d.C. fino ai nostri giorni tutto dipenderà da questa fusione che si è creata in questo periodo. Tutto ciò che è venuto dopo o sviluppa quello o lo combatte. L’influenza di questo periodo su tutto l’occidente è incontestabile.
Nell’epoca patristica nasce un pensiero, una visione del Mondo, dell’Uomo, della Cultura, della Religione, della Società, di tutto, dal quale non si prescinde più. Per questo non è possibile non occuparcene.
Vediamo allora chi realmente sono questi Padri della Chiesa che hanno fatto da crogiolo e che caratteristiche possiedono. Sono quattro queste caratteristiche:
1.   Antichità - sono vissuti dal I  secolo al V  secolo (con delle propaggini fino al VII  secolo)
2.   Ortodossia - il loro insegnamento rispecchia ed è sorgente dell’insegnamento che poi diventerà la dottrina ininterrotta della tradizione cristiana.
3.   Santità della loro vita – Apprezzata spesso dagli stessi non credenti.
4.   Riconoscimento unanime di tutto il mondo cristiano (di allora e seguente).
Esistono poi i così detti Scrittori ecclesiastici antichi che non hanno tutte assieme queste quattro caratteristiche, ma che comunque hanno voce in capitolo e sono pure essi un riferimento importante.
Dividiamo la Patristica in tre momenti.
Il Primo periodo, quello dei Padri apostolici. Dei Padri cioè che hanno conosciuto gli Apostoli o che sono vissuti nel periodo nel quale gli Apostoli erano ancora vivi. Discepoli degli Apostoli quindi o discepoli dei primi discepoli degli Apostoli (prima e seconda generazione cristiana).
A loro volta si distinguono in Padri della Chiesa dell’area Orientale e in Padri della Chiesa dell’area Latina.


dal I  sec. al Concilio di Nicea 325
I Padri Orientali
Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne. Sono due discepoli dell’Apostolo San Giovanni.
Giustino di Naplusa che per la prima volta tenta di presentare la nuova fede all’Autorità dell’Impero.
Clemente Alessandrino della Scuola di Alessandria fondata da Parteno e della quale fa parte anche Origene che invece è uno Scrittore ecclesiastico.
I Padri Occidentali
Clemente Romano, uno dei primi Papi (vescovo di Roma )

Tertulliano, Scrittore ecclesiastico antico, ma estremamente prolifico.

Cipriano di Cartagine (il nord Africa è la parte latina dell’Impero).

In questo periodo fioriscono le prime eresie che diventano di fatto un forte stimolo per i Padri della Chiesa per sviluppare il loro pensiero sia filosofico che teologico soprattutto su Dio e sull’Uomo. Teologia e Antropologia (ànthropos = "uomo" e lògos = "parola, discorso su", cioè studio dell’Uomo da tutti i punti di vista) si affinano in questa attività Apologetica (apologhía, «discorso in difesa» dei propri dogmi, in difesa da opposizioni esterne ed eretiche).



Le prime eresie:

Lo Gnosticismo è un movimento filosofico-religioso, molto articolato (gnósis «conoscenza» = "dottrina della salvezza tramite la sola conoscenza personale", definizione piuttosto parziale del movimento, basata sull'etimologia della parola).

Novaziano, personaggio complesso, antipapa e seguito da molti in diverse regioni. I suoi seguaci erano caratterizzati da un forte irrigidimento e rigorismo morale, chiamarono se stessi  katharoi, o Puri, termine usato, poi, nel medioevo dai catari.

Arianesimo, vasto movimento eretico che prende il nome dal prete di Alessandria Ario (256-336) che non riconosce a Gesù Cristo la stessa sostanza del Padre.

Il periodo d’oro della Patristica (Secondo periodo)

dal Concilio di Nicea 325 al Concilio di Calcedonia 451. La scelta di racchiudere i periodi con riferimento ai concili è dovuto al fatto che in essi si ritrovavano i Padri della Chiesa a discutere e a sviluppare insieme i loro pensieri e le loro teorie in una sorta di fucina dalla quale emergevano gli apici della Filosofia, della Teologia e dell’Apologetica.

I Padri Orientali:

Atanasio alessandrino, il grande protagonista del Concilio di Nicea

Cirillo di Gerusalemme, il grande protagonista del Concilio di Calcedonia

Giovanni Crisostomo, il grande oratore ed esegeta delle Sacre Scritture




I Padri Occidentali:

Ambrogio di Milano, formidabile combattente contro l’Arianesimo che riuscì ad abbattere.
Girolamo, noto per la sua traduzione delle Scritture in Latino (Volgata) direttamente dal testo ebraico (non da quello greco).
Agostino d’Ippona, eccellente Teologo e Filosofo. Valoroso combattente contro il pelagesimo e il donatismo.
Le Eresie di questo eccezionale periodo sono le eresie cuore dell’antichità cristiana e sulle quali hanno lavorato i Padri della Chiesa.
Pelagio (monaco irlandese? Che sosteneva la capacità dell’Uomo di salvarsi da solo) e Donato (vescovo di Cartagine per il quale alla Chiesa dovevano appartenere solo i perfetti cristiani), contro i quali ha combattuto strenuamente Sant’Agostino.
Nestorio, (patriarca di Costantinopoli che non accettava che Maria fosse chiamata Madre di Dio – Theotòkos) protagonista in negativo del Concilio di Calcedonia contro il quale hanno combattuto con vigore Cirillo di Gerusalemme e Giovanni Crisostomo.

Il declino della patristica (terzo periodo)

dal Concilio di Calcedonia 451 fino al VII  secolo.
In Oriente abbiamo:
Massimo il Confessore, figura ancor oggi di grandissimo rilievo per i Cristiani d’Oriente.

Giovanni Damasceno, fu fra l’altro il maggiore difensore del culto delle immagini contro gli iconoclasti.
In Occidente abbiamo:
Dionigi il Piccolo, noto per il suo tentativo di dare una data precisa all’era cristiana, ma in realtà molto più importante per quello che ha    lasciato scritto.
Severino Boezio, che sarà poi un punto di riferimento per la nascita della Scolastica.
Isidoro di Siviglia, grande protagonista di questa epoca.

 

Fatti storici significativi



  330
trasferimento della capitale da Roma a Costantinopoli da parte di Costantino il grande
  381
concilio ecumenico di Costantinopoli (conferma il credo niceno)
  395
Teodosio divide l'Impero romano in Oriente e Occidente
  410
sacco di Roma, prima da parte di Alarico e poi dai Vandali
  431
concilio di Efeso (vieta qualunque aggiunta al credo niceno)
  450
concilio di Calcedonia (condanna la simonia a seguito dell'allarmante diffondersi di vendita di cariche ecclesiastiche)
  476
inizia l'Alto Medioevo: Odoacre invia a Bisanzio le insegne imperiali ed è la fine dell'Impero romano occidentale; lotte tra re germanici, papi, imperatori e basilischi che divideranno l’Europa in una dozzina di stati monarchici che si faranno la guerra per un millennio. Scalata e apogeo della Chiesa romana. Demolizione della rete viaria imperiale per non facilitare le ondate barbariche, abbandono degli acquedotti e delle reti fognarie romane e di altre opere che per incuria vanno in rovina. Inizio dei così detti “secoli bui”.

 

Il Medioevo

Il Medioevo è comunemente considerato in tre periodi:
L’”Alto Medioevo” va dal V al X-XI secolo ed è caratterizzato da condizioni economiche disagiate e da continue invasioni da parte di Slavi, Arabi, Vichinghi e Magiari. Il vicino Oriente è conteso fra Bizantini e Mussulmani. Nasce la prima crociata (1096)
.
Il "Pieno Medioevo" è il periodo che va dall'XI-XII al XIV secolo e che vede lo sviluppo di forme di governo basate su signorie e vassallaggio, con la costruzione di castelli e la rinascita della vita nelle città. È anche il tempo delle crociate (ultima nel 1302) che comunque non riescono a liberare la terra santa dai mussulmani, ma consentono la presenza dei francescani a custodire i luoghi santi.
 
Il "Tardo Medioevo" include il XIV ed il XV secolo e vede una generale crisi economica, politica e sociale. Conosce la devastante Peste  Nera del 1348 e l'affermazione delle autorità regie a scapito di quelle feudali.

Medioevo, l’infanzia dell’Europa - di Sandro Carocci

 

dall’Enciclopedia dei ragazzi (2006)
Medioevo è il nome dato a un periodo molto lungo della storia del mondo cristiano. È durato mille - millecento anni. In questa lunga epoca della nostra storia, sono avvenute moltissime cose. È stata l’età di Carlo Magno e della cavalleria, delle crociate e dei Templari, dell’espansione del cristianesimo e dell’affermazione del potere del papa sopra tutta la cristianità; ma è stata anche l’epoca a cui risalgono tanti oggetti a noi familiari, come per esempio gli occhiali o l’assegno bancario, tante città dove viviamo, tanti modi di pensare. L’epoca in cui è nata la stessa Europa. Il Medioevo, insomma, è un po’ come la nostra infanzia: un mondo che è insieme lontano e vicino.

Tante date per un nome

Medioevo vuol dire «età di mezzo». L’espressione venne inventata dagli uomini di cultura del Rinascimento, che fra 15  e 16  secolo andavano riscoprendo, e si sforzavano appunto di far rinascere, la letteratura e la cultura del mondo antico. Fra il mondo dei sapienti antichi e il loro presente, questi intellettuali del Rinascimento collocavano un lungo periodo di decadenza: un’età di mezzo, appunto, che separava gli splendori del mondo antico dai nuovi splendori che, grazie a loro, la cultura si apprestava a rivivere.
Le date prese come inizio e come termine di questa età di mezzo cambiano a seconda degli storici. Per lo più, si dice che il Medioevo è cominciato nel 5° - 6°  secolo dopo Cristo: alcuni mettono come data d’inizio il 410, quando il saccheggio di Roma a opera dei Visigoti mostra che la potenza della capitale dell’Impero è ormai alle corde; altri preferiscono il 476, quando viene deposto Romolo Augustolo, ufficialmente l’ultimo imperatore della parte occidentale dell’Impero Romano. Il termine finale, di solito, è posto dopo la metà del 15°  secolo: alcuni scelgono l’anno 1453, quando Costantinopoli viene conquistata dai musulmani turchi, altri il 1492, quando fu scoperta l’America.

Molti Medioevi diversi

Il Medioevo, dunque, è l’età tra  la fine del mondo antico e prima del Rinascimento e dell’Età moderna. Dunque, è un’epoca definita dall’esterno, e non sulla base di proprie caratteristiche unitarie.
Non deve allora meravigliare che il Medioevo sia stato, in primo luogo, un’epoca di contrasti. Si può anzi dire che sono esistiti tanti Medioevi diversi.
Ecco alcuni esempi: in campo culturale, durante il millennio medievale vi sono stati periodi in cui la cultura era così decaduta che un re o un imperatore nemmeno sapevano scrivere il loro nome; ma il Medioevo è stata anche l’epoca in cui nelle Abbazie e nelle Cattedrali nascono le Scuole e le Università e nei monasteri vengono ricopiati con pazienza e su bei codici in pergamena, tutti i testi disponibili di autori antichi sacri e profani, importanti e meno importanti, la base della nostra cultura occidentale. In campo economico, poi, vi è il Medioevo dell’economia cosiddetta naturale, dove i commerci sono così scarsi che di fatto quasi non si usa più la moneta; ma al Medioevo appartengono anche i secoli 12° -14° , quando i commerci hanno uno sviluppo formidabile, al punto che permettono di accumulare ricchezze immense e di edificare città splendide, e altrettanto splendide Cattedrali in tutta Europa. Il Medioevo è anche l’epoca delle campagne, dove vive la schiacciante maggioranza della popolazione e dove i monasteri sono occasione della formazione di villaggi di contadini e di tecniche agrarie ancor oggi apprezzate e funzionanti.
Il Medioevo è l’età dei cavalieri, degli ordini mendicanti e dei mercanti che inventano le Banche.

Un Medioevo fantastico

Oltre ai tanti altri contrasti del millennio detto Medioevo è possibile anche trovare alcuni elementi che sembrano caratterizzarlo come un’epoca unitaria. Prima, però, è necessario chiarire un punto: più che per ogni altra epoca storica, per il Medioevo sono state spesso confuse realtà e fantasia. In primo luogo, naturalmente, appartengono a un Medioevo fantastico (inventato da uomini dei secoli successivi e ben diverso dal vero Medioevo) gli elfi, le fate, i maghi, i draghi e tanti altri prodotti della nostra cultura contemporanea. Ma sono frutto della fantasia e non della realtà storica anche altre immagini del Medioevo: l’idea, per esempio, che sia stato un periodo di violenza, di superstizione, di oppressione, o di povertà. Nei giornali o alla televisione, la parola medievale viene utilizzata spesso per indicare pratiche particolarmente retrograde, forme di oppressione accentuate, credenze e superstizioni di ogni tipo. Questo modo di pensare il Medioevo deriva più dalla fantasia, che dalla realtà storica.


Medioevo reale
Si dice, per esempio, che il Medioevo sia stato l’epoca della fame e delle carestie, oppure della peste, oppure ancora della tortura. E chi potrebbe mai negare che durante quei mille anni che chiamiamo Medioevo molti uomini siano stati orribilmente torturati, e altri siano morti di fame o di peste? Ma sbaglieremmo a credere che si tratti di fenomeni tipici del Medioevo. Semmai, è vero che hanno caratterizzato molto di più i secoli del Rinascimento e dell’Età moderna.
Per gran parte del Medioevo la peste non è esistita. L’ultima epidemia di peste del primo millennio risale al 541-542, la prima del millennio successivo è soltanto del 1347-1350. Quanto alla tortura, fino al 1200-1250 accadeva molto di rado che venisse usata. Il sistema giudiziario, infatti, era molto semplice. I giudici, più che condurre una vera indagine o cercare di estorcere la confessione dell’imputato, prendevano piuttosto atto dell’opinione e delle testimonianze dei vicini, dei conoscenti, dei parenti. Soltanto nel 13°  e soprattutto nel 14° -15°  secolo il modo di amministrare la giustizia ha subito un cambiamento: il giudice è diventato un funzionario che deve stabilire la verità, attraverso indagini e interrogatori. È nato così un tipo di sistema giudiziario che fa anche uso della tortura, per ottenere la confessione dei sospetti o anche per obbligare i testimoni a dire la verità. Dunque, la tortura è diventata una pratica diffusa solo negli ultimissimi secoli del Medioevo, e si è poi diffusa di più in Età moderna.




Un’invenzione medievale: il castello


La televisione, il cinema, i romanzi ci dicono che il Medioevo è stato il tempo dei castelli. E, una volta tanto, hanno davvero ragione. Nel Medioevo, i castelli si trovano ovunque: lungo le assolate coste del Mediterraneo come sui dirupi delle Alpi e nelle lande ghiacciate del Nord europeo. Si può dire, quindi, che il castello è un’invenzione del Medioevo. Ma cosa si deve intendere per castello, e perché fu inventato?
Sono esistiti due tipi di castello. Uno lo conosciamo bene: un palazzo circondato da mura, torri, fossati e altre difese dove vive il nobile signore con i suoi parenti, i suoi guerrieri e – naturalmente – i suoi servitori. Questo tipo di castello era diffuso soprattutto nel Centro e nel Nord dell’Europa. In Italia e in altre regioni dell’Europa meridionale i castelli più comuni erano invece di un tipo che solo raramente compare nei film e nei romanzi: non erano una fortezza di nobili e cavalieri, ma una piccola città fortificata. Il castello, cioè, era un villaggio circondato da mura e difeso spesso anche da una o più torri. Vi abitavano contadini, artigiani, commercianti e, in un bel palazzo dotato di robuste porte, anche il signore con il suo seguito.
Entrambi questi tipi di castello avevano lo stesso scopo di fondo: che non era, come possiamo pensare, fare la guerra, ma comandare. Solo pochi castelli infatti, nascevano con una funzione unicamente militare. Era il caso delle fortezze costruite nelle zone di confine, come quelle dei crociati in Terra Santa. La grande maggioranza dei castelli, invece, veniva costruita con lo scopo di dominare il territorio circostante. Il signore, con il suo castello, proteggeva gli abitanti che vi vivevano, e quelli che vi si rifugiavano in caso di pericolo. In cambio, costoro ubbidivano ai suoi ordini, gli pagavano delle tasse e, se commettevano qualche reato, venivano giudicati dal signore (feudalesimo).

Il signore del castello


Fra l’850 e il 1300, cioè nel periodo compreso fra la crisi dell’Impero creato da Carlo Magno e la nascita di grandi stati monarchici, possedere un castello divenne il modo migliore per imporsi come un personaggio potente. Ai tempi dell’Impero Romano o di Carlo Magno, per qualificarsi come un potente bastava possedere molti beni e partecipare, in qualità di alti ufficiali, all’amministrazione dell’Impero; quando alla fine del Medioevo nacquero gli Stati monarchici, era potente chi aveva strette relazioni con il re e la sua corte. Ma per molti secoli, re e imperatori erano troppo deboli per garantire ai nobili che li circondavano una vera potenza. Il solo mezzo per contare veramente fu allora appunto quello di costruire o acquistare un castello, e dominarne gli abitanti. Per questa ragione tutta l’Europa si è coperta di una distesa di fortezze.

L’età della fede

Il Medioevo fu un’età profondamente religiosa. La religione cristiana guidava i comportamenti e i modi di pensare in una misura superiore a ogni altra epoca. Ma attenzione: nonostante sopravvivessero molte superstizioni e credenze pagane, e nonostante il livello culturale di molti uomini del Medioevo fosse davvero basso, non fu una religione vissuta con tranquillità, fiducia, assenza di dubbi e di spirito critico. Al contrario, per tutto il Medioevo i fedeli si interrogarono ansiosamente sui modi migliori per realizzare la vita cristiana. Intorno all’interpretazione dei Vangeli sorsero eresie e conflitti con la Chiesa, conflitti che portarono anche a feroci scontri armati, specie se le fazioni erano appoggiate da un principe o da uomini senza scrupoli che tentavano la scalata al potere appoggiando la Chiesa o gli eretici.

Nel contempo, si diffusero molti modi, talvolta davvero difficili, di praticare la religione e di ricercare la salvezza dell’anima. Un modo fu il monachesimo e l’eremitismo: i fedeli abbandonavano la famiglia, i propri beni e il mondo dei laici, e andavano a vivere in comunità separate, dove si viveva rispettando una regola che scandiva ogni momento della giornata, oppure si ritiravano in luoghi inaccessibili, dove meditare in solitudine il messaggio di Cristo.
Molti contrasti riguardarono anche il ruolo da attribuire ai sacerdoti e agli altri, numerosissimi, chierici. La stessa autorità del papa, che incoronava   Re e Imperatori, era molto spesso contestata dagli stessi. Per tutta la prima metà del Medioevo, in particolare, si pensava che il papa fosse soltanto un vescovo fra gli altri, anche se certamente fra i più importanti. Fu soltanto nell’11°  e 12°  secolo che i papi riuscirono ad affermarsi come capi di tutta la cristianità. I papi, i cardinali e più in generale tutta la Chiesa divennero allora un organismo molto potente, ascoltato e di conseguenza contrastato da chi gli voleva contendere questo potere.

L’età dell’ integrazione etnica

Noi che viviamo in una società multietnica, nella quale si pone con forza il problema dell’incontro fra culture e tradizioni diverse, potremmo prendere esempio dal Medioevo. Perché è stato per l’appunto nel corso dei primi secoli del Medioevo che si è realizzata l’integrazione etnica forse più riuscita nella storia del nostro continente. Il mondo medievale, e dunque anche quello dove viviamo oggi, è infatti frutto dell’incontro e della fusione fra due grandi tradizioni: quella di Roma e dei popoli romanizzati, e quella delle popolazioni barbare (le varie etnie germaniche, ma anche slave e magiare).
A partire dal 5°  secolo e fino al 9° - 10°  secolo, nelle varie regioni del continente europeo si è prepotentemente affacciato il problema della compresenza fra le popolazioni romane dei nuovi popoli, per lo più germanici, immigrati in massa nelle regioni dell’antico impero, che avevano assunto il potere politico e militare (le invasioni barbariche).

Fra i Romani e i Germani, all’inizio, le differenze erano enormi: nel mondo romano, per esempio, i ceti sociali benestanti curavano la preparazione culturale, la pulizia del corpo, l’amministrazione delle grandi proprietà agricole; i Germani, invece, non frequentavano certo le terme, disprezzavano chi si occupava della gestione della terra e alla preparazione culturale preferivano di gran lunga quella al combattimento. Eppure con il tempo i popoli di tradizione diversa si fusero fra loro, e l’unione etnica comportò anche la trasmissione e l’adattamento delle rispettive culture e modi di comportamento. Dall’incontro fra Latini e Germani nacque una nuova civiltà, la nostra (regni romano-barbarici).


Il Medioevo, e soprattutto i secoli dal 10°  al 14°  sono stati l’epoca del trionfo della città. Tutta l’Europa ha allora visto nascere e crescere centri urbani, nei quali si sono concentrate le attività economiche più dinamiche (commerci, banche, industrie) e dove sono state realizzate le innovazioni politiche più forti. La popolazione, la ricchezza e anche, va detto, la bellezza delle città (con i loro palazzi, piazze, chiese, cattedrali) hanno raggiunto allora livelli altissimi. Dal punto di vista politico, dalla fine dell’11°  secolo gran parte delle città sono riuscite a governarsi per conto proprio. Soprattutto in Italia, ogni città ha dato vita a un comune, che era il nome dato alle istituzioni che governavano la città e il territorio circostante (civiltà comunale). Fino al 1250-1300, al governo del comune partecipava la gran parte dei cittadini forniti di un certo patrimonio (nobili, mercanti, banchieri, grandi artigiani), che entravano a rotazione nei consigli e nel parlamento comunali.
A partire dagli ultimi decenni del 13°  secolo questa vasta partecipazione ai governi comunali non fu più capace di garantire la pace interna e una buona amministrazione. Il governo delle città passò allora nelle mani di un singolo cittadino, il più potente o il più abile, che venne chiamato signore, e il suo governo fu detto signoria. Durante il 14°  secolo, in gran parte delle città i comuni furono sostituiti da signorie.

Le terre incolte

Per molti uomini e donne del Medioevo, fame e carestie sono state pericoli  temuti, e spesso una dura realtà da affrontare; ma in fin dei conti hanno fatto meno morti di quello che potremmo pensare. La carestia e la fame, infatti, divengono micidiali quanto più l’agricoltura è sviluppata. Quando tutta la superficie di un territorio è coltivata, se una gelata o un’inondazione distruggono il raccolto, il contadino e la sua famiglia rischiano davvero di morire di fame. Così è avvenuto numerose volte alla fine del Medioevo e in Età moderna. Ma per gran parte del Medioevo, la popolazione era troppo ridotta per coltivare tutta la terra disponibile. Esistevano ancora grandi foreste, paludi, prati, pascoli. E da questi terreni incolti i contadini traevano alimenti importanti (miele, frutti selvatici, cacciagione, pesci) che poi venivano usati per allevare qualche animale, soprattutto maiali. In caso di un cattivo raccolto, dunque, grazie alla grande disponibilità di terre incolte era molto più difficile morire di fame!



Resta da ricordare un’ultima importante caratteristica del Medioevo: questa  “età di mezzo” ha creato l’Europa. Durante il millennio medievale è nato il concetto stesso di Europa.
La parola venne usata la prima volta dall'abate irlandese San Colombano per indicare l’occidente cristiano, cioè i vari paesi conquistati da Carlo Magno il cui esercito aveva fermato l’espansione araba e gli invasori musulmani. Nel 14° -15°  secolo, passò poi a indicare grosso modo gli stessi territori di oggi. Quel che più conta, però, non è la parola Europa, che è il nome della figlia di Agenore re di Tiro, dalla quale discende Minosse  re di Creta che diede vita alla civiltà cretese, culla della civiltà europea, ma lo sviluppo di una civiltà comune alle varie regioni dello stesso territorio.  
Oggi noi diamo per scontato che in Europa (e più in generale in quella parte del mondo che dall’Europa è stata plasmata) esistano una serie di valori, di comportamenti e di istituzioni comuni. Ci sembra normale, per esempio, che esistano università, che le città siano dotate di un proprio comune, che ai bambini si dia il nome di santi, che le leggi fondamentali seguano determinati principi (per esempio, l’idea che l’imputato è innocente finché non se ne prova la colpevolezza), che esistano Stati nazionali e via dicendo. Ebbene, questi elementi tipici della civiltà europea sono nati nel Medioevo, e durante il Medioevo si sono diffusi su tutto il continente. Alcuni sopravvivono ancora oggi (gli Stati nazionali, anzi, sono nati tra il 14°  e il 16°  secolo in Inghilterra e Francia, intorno alle monarchie di quei due paesi, e solo in Età moderna si sono diffusi in tutto il continente).
Altri elementi di origine medievale tipici di tutta l’Europa oggi non contano più molto, ma sono stati in passato molto importanti: l’intensità e l’osservanza con cui era vissuta la fede cristiana, i castelli, la cavalleria, la nobiltà, la creazione di una rete omogenea di vescovi sottoposti all’autorità del papa, la diffusione dell’abitudine di stendere per iscritto una serie di contratti, e tanti altri elementi. Proprio nel corso del Medioevo, soprattutto dopo il 950-1000, tutti questi elementi si sono lentamente diffusi a tutto il territorio che iniziava a venire chiamato Europa. Assieme alla parola, è nata così una civiltà unificata da istituzioni, modi di pensare e di agire prettamente cristiani (le nostre radici).


Il Monachesimo e San Benedetto


Nel 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augustolo, cessò di esistere l’Impero Romano d’Occidente. Al dominio di Odoacre (433-493), capo degli Eruli, successe quello di Teodorico (454-526), re dei Goti, che durò un’intera generazione. Tutto sembrò volgere alla distruzione. I barbari, di vari ceppi ed etnie, minarono le fondamenta della civiltà europea, che si divise in piccole realtà locali, dando origine, nei secoli successivi, al feudalesimo.
L’unica autorità in grado di mantenere una organizzazione centralizzata fu la Chiesa: il Cristianesimo, unito alla cultura classica veicolata dal latino ecclesiastico, svolse un ruolo fondamentale nella prosecuzione di una identità comune europea.
In questo contesto si presentò al mondo un monaco: San Benedetto da Norcia (480 – 547). Con lui sorse il monachesimo occidentale partito dopo tre anni di solitudine presso il Sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica ( monastero: dove più monaci fanno vita comune, sottoposti alla medesima regola) prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d'Europa (24 ottobre 1964). 

La missione di Benedetto fu ricordata da Giovanni Paolo II , nella visita  al Sacro Speco di Subiaco del 28 settembre 1980.
“Benedetto da Norcia, che per la sua azione profetica ha cercato di far uscire l’Europa dalle tristi tradizioni della schiavitù, sembra dunque parlare, dopo quindici secoli, a numerosi uomini e a molteplici società che bisogna liberare dalle diverse forme contemporanee di oppressione dell’uomo. La schiavitù pesa su colui che è oppresso, ma anche sull’oppressore. La parola d’ordine “ora et labora” è un messaggio di libertà per tutti oppressi e oppressori.
Di più, questo messaggio benedettino non è oggi all’orizzonte del nostro mondo, un richiamo a liberarsi dalla schiavitù del consumismo d’un modo di pensare e di giudicare, di stabilire i nostri programmi e di condurre il nostro stile di vita unicamente in funzione dell’economia?
In questi programmi scompaiono i valori umani fondamentali. La dignità della vita è sistematicamente minacciata. La famiglia è minacciata, vale a dire questo legame essenziale reciproco fondato sulla confidenza delle generazioni, che trova la sua origine nel mistero della vita e della pienezza di tutta l’opera dell’educazione. È anche tutto il patrimonio spirituale delle nazioni e delle patrie che è minacciato.
Siamo in grado noi di frenare tutto questo? Di ricostruire? Siamo in grado di allontanare dagli oppressi il peso della costrizione? Siamo capaci di convincere il mondo che l’abuso della libertà è un’altra forma di costrizione?
San Benedetto ci è stato donato come patrono dell’Europa dei nostri tempi, del nostro secolo, per testimoniare che siamo capaci di fare tutto questo”.

La profezia di Benedetto pervase, inarrestabile, l’intera società di allora. I monaci costruirono la cultura europea attraverso il Vangelo (la Buona Novella che Gesù Cristo ci ha portato proponendosi come Via, Verità e Vita per la vera felicità dell’uomo). Quella dei monaci non fu solo una attività di studio e di diligente copiatura di codici. La Regola e il principio “ora et labora” seppero infondere nei monaci (e in tutti gli uomini che si avvicinavano a Dio) il desiderio e la volontà d’impegnarsi in tutte le attività umane (fare bene tutte le cose). I Monaci e chi li frequentavano, divennero dei ricostruttori di quella civiltà umana e cristiana che si andava dissolvendo (esattamente come oggi, tanto che si parla sempre di più di un “suicidio” della civiltà occidentale, in atto). I Monaci infatti attraverso la preghiera, il lavoro, l’obbedienza e la solitudine fecero da tramite tra gli uomini e Dio. Crearono insediamenti umani, bonificarono e coltivarono terreni incolti, si espansero in modo regolare e portarono benessere e sicurezza in molte terre d’Europa. Stimolarono la rinascita culturale, artistica, morale e civile nelle terre evangelizzate, iniziando a tessere quella che sarà poi l’Europa, cioè un contesto sociale caratterizzato da un’unica cultura, quella cristiana con al centro Dio e la sua legge divina. Cosa che poi l’illuminismo e il pensiero moderno cercheranno di distruggere sistematicamente, mettendo al centro l’Uomo e il suo diritto a decidere di volta in volta cos’è il bene e cos’è il male, cioè la rivincita sul peccato originale.
(Liberamente tratto dall’articolo di Vincenzo Nicosia – Rivista “Radici cristiane” n. 101 del febbraio 2015.)

San Benedetto da Norcia (480-547)

Dall’Udienza Generale del 9.04.2008 di Papa Benedetto XVI
San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. 
La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.
Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta. Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea.

Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.

Programma della seconda Tappa: 
I Lumi del Medioevo

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