LA NASCITA DELLA FILOSOFIA CRISTIANA
Tutte
le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella
storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari
e limitate, tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della Poesia,
dell’Arte, della Filosofia, della libertà politica e Roma del Diritto, per non
parlare delle più remote della Scrittura, della Matematica, della Scienza astronomica, della Medicina e di
quanto altro si deve all’Oriente e all’Egitto.
Le
rivoluzioni e le scoperte che seguirono in tempi moderni non si possono pensare
senza la rivoluzione cristiana e in relazione di dipendenza da lei, alla quale
spetta il primato. La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel
centro dell’Anima, nella Coscienza morale, conferendo risalto all’intimo e al
proprio di tale coscienza quasi parve che lei acquistasse una nuova Virtù, una
nuova qualità spirituale che fino allora era mancata all’umanità.
Gli
Uomini, i Geni, gli Eroi che furono innanzi al cristianesimo compirono azioni
stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di
pensieri e di esperienze, ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che
noi accomuna e affratella e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita
umana.
Noi oggi ci troviamo immersi in una cultura che non vede il
Cristianesimo come ce lo ha descritto Benedetto Croce, che non è certo un uomo
di fede. La Cultura odierna anzi asseconda l’idea del Medioevo, come un periodo
di circa 1000 anni, senza storia, fra due epoche che invece considera molto più
determinanti e ricche come quella
greco romana (età classica) e il Rinascimento (età moderna). Il nome Medio
Evo, attribuitogli molto tempo dopo dagli storici, vuole appunto significare
“terra di mezzo”, insignificante, fra due epoche straordinarie.
Di conseguenza ci portiamo dietro una considerazione del
Medio Evo come un periodo di “secoli bui”, pieno di oscurità, arretratezze,
ignoranza, imbarbarimento, superstizioni, crudeltà e insignificanza, cioè
periodo dal quale non emerge nulla di particolare, anzi un forte rallentamento
del cammino umano.
Anche se non è molto evidente, gli storici di oggi non sono
più su questa linea. Tuttavia questa considerazione del Medio Evo fa ancora
molto comodo a chi vuol rimanere indifferente alla proposta cristiana e a chi
la vuol combattere, perché la sente come una minaccia alla propria libertà di
fare i propri interessi e di seguire le proprie passioni (quelle che il
cristianesimo condanna ovviamente).
Noi però proviamo a ragionare. Il Medio Evo
va dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476 d.C., anno in cui
Odoacre depose l'ultimo imperatore romano
d'Occidente, Romolo Augustolo, alla Scoperta dell’America (1.492
d.C.). È un periodo di circa 1.000 anni che è la metà del periodo dalla nascita
di Cristo ad oggi, e già questo non può essere definito un periodo di
transizione fra un’epoca e l’altra.
LA DISTRUZIONE
DELL'IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE, DI THOMAS COLE.
Se andiamo poi a vedere come questo periodo
è partito, ci accorgiamo che con la caduta dell’Impero romano ci trovavamo in
una situazione di decadimento tale da poterla paragonare a quella di un paese
sottosviluppato, devastato e senza nulla
più da dire e da dare. Cioè una Società che non c’è più, senza una
classe dirigente, la scrittura quasi assente, i Barbari che fanno il bello e il
cattivo tempo, quindi povertà e devastazione.
Se osserviamo poi la situazione dell’Europa
all’inizio del nuovo periodo, cioè del Rinascimento, ci accorgiamo di una
situazione completamente capovolta. Non possiamo pensare quindi che in questi
mille anni non sia successo nulla di interessante, così come non possiamo non
pensare che questa epoca è stata invece una epoca di grande progresso e di
ricomposizione morale, civile ed economica quasi miracolosa.
Vediamo che in questo periodo di Medio Evo
cristiano, per esempio sorgono le Università, nasce la grande poesia (La Divina
Commedia, ecc. …), vengono realizzati gli Ospedali, si sviluppano Monasteri per
tutta l’Europa, nei quali si copiano le sacre scritture, gli scritti dei Padri
della Chiesa, ma anche indistintamente le opere filosofiche e letterarie pagane.
Accanto ai Monasteri sorgono le Scuole
“pubbliche” per i figli dei Contadini. Contadini che bonificano i terreni vicini
seguendo le pratiche dei monaci che inventano nuove tecniche di ingegneria
agraria, che preparano distillati e farmaci, che aprono la via alla Chimica,
alla Farmaceutica, all’Erboristeria, alla Botanica, ecc. Non parliamo poi della
magnificenza delle Cattedrali medioevali e delle relative opere d’arte che non
ci parlano del buio, ma della splendente luce di Dio che fanno trasparire.
Ma torniamo all’interrogativo che ci preme:
cosa è successo che ha fatto nascere questa rivoluzione? Molto semplicemente
arrivano a Roma e in altre località dell’Occidente persone che testimoniano di
aver conosciuto il Figlio di Dio e di averlo visto prima morire e poi
risorgere, seguiti da altri che si professano credenti di questi fatti.
Attenzione, non filosofi che propagano dei ragionamenti o dei pensieri, ma
persone spesso molto semplici che nella loro ricerca della Verità si sono
convinte che è sicuramente Vero quello che ha fatto e detto il Figlio di Dio
fattosi uomo come noi e testimoniato da chi gli è stato vicino.
Persone quindi che credono e divulgano il
concetto che la Salvezza non viene dalla Conoscenza, patrimonio di pochi
filosofi, ma dalla Sapienza a cui tutti possono attingere, ignoranti e
intellettuali, analfabeti e scrittori, schiavi e padroni, perché tutti figli
adottivi dello stesso Dio e redenti da suo Figlio.
È sì sempre vero che la felicità è del
filosofo che conosce la Verità e trova in essa la felicità, ma ora siamo di
fronte ad una VERITÀ che Dio stesso ci ha permesso di conoscere, anzi, che per
amore vuole farci conoscere e che è alla portata di tutti, Filosofi o Servi
analfabeti.
Questa è la rivoluzione che si propaga, ma
che scombina gli equilibri sociali tenuti insieme da un accentramento dei
poteri di autorità costituite sorrette da caste che governano tenendo i sudditi
nell’ignoranza e nella divisione dei vari ceti sociali, cosa ancora attuale
oggi in tutte le parti del mondo.
Da subito infatti il cristianesimo, con il
suo concetto di uguaglianza, è per questo contrastato e temuto, come
sovvertitore dell’ordine sociale e in occidente impiegherà circa 300 anni a
imporsi come religione ufficiale e permessa in tutta l’Europa.
Con l’avvento del concetto di Persona, che
vede ogni uomo creato e voluto da Dio, uguale ai suoi occhi a quelli di tutti
gli altri, degno di attenzione e amore, qualunque sia la sua posizione sociale,
la rivoluzione prende sempre più piede, specialmente fra gli ultimi che
finalmente ricuperano una loro dignità e possono vantare di avere un Dio Padre che
ha mandato suo Figlio a salvarli.
Ben presto però anche alcuni uomini di
potere e di rango elevato, vengono toccati da questa speranza di salvezza e
contribuiranno ad ospitare e proteggere i cristiani e gli apostoli, spesso
subendo il martirio per questo.
Per inciso, gli stessi israeliti non avevano
chiaro il concetto di Persona ed erano influenzati nei loro giudizi dalle
differenze sociali, intellettuali ed economiche (vedi la Samaritana al pozzo). Queste novità portano l’occidente ad aprirsi
alla cultura greca e alle sue conquiste sulla Verità e sull’uso appropriato
della Ragione, chi per polemizzare con il cristianesimo, chi per sostenere la
Fede in Cristo proprio con la ragione.
Infatti c’è chi dirà che in fondo il
cristianesimo è una sorta di sincretismo della filosofia greca, cioè ha preso
un po’ qua e un po’ là alcuni concetti dei filosofi greci e li ha tenuti
insieme ad una ipotetica rivelazione divina. Anche qui è molto improbabile che
pescatori sicuramente ignoranti di filosofia, come di altre materie, si possano
essere inventati una religione così diversa da quelle esistenti e così legata
ad una cultura filosofica patrimonio di pochi dotti.
Possiamo invece dire che verrà usato molto del rigore del
ragionamento dei greci per definire e meglio comprendere i contenuti del
messaggio cristiano, preservarlo dal Fideismo (fede senza nessun supporto
razionale) e dal Razionalismo (considerazione parziale della realtà, cioè
raziocinio che esclude la componente spirituale dell’uomo e il trascendente).
Il cristianesimo mutua infatti diverse cose dalla Filosofia
greca. Mutua cioè Il livello e il modo con cui ragionare, rigoroso e votato
alla ricerca della Verità. I greci avevano avuto il merito di individuare un
metodo onesto e sincero per raggiungere la Verità, ma mancava a loro la Fede nel
Dio Amore, per dare un senso pieno alle loro fatiche. Fede che da soli non
potevano darsi, ci voleva che Dio stesso togliesse quest’ultimo velo (come
Platone aveva auspicato).
La Fede cristiana allora usa a piene mani gli strumenti
razionali costruiti dalla Filosofia antica per rafforzarsi e farsi comprendere.
Siccome per i cristiani Dio oltre che “Caritas”,
cioè Amore, è prima di tutto “Logos” cioè Ragione, l’uomo esercitando
la ragione che Dio gli da può raggiungere Dio. Può cioè arrivare molto vicino
al comprendere che il tutto esiste e funziona in un modo che necessariamente
abbisogna di una mente ed una volontà ed una intelligenza al di sopra della
nostra capacità di intendere e di volere. La Rivelazione divina completa
l’ultimo tassello che manca all’uomo per conoscere Dio e per sostenerne
l’esistenza e l’operato con la Ragione, cioè la Ragione a sostegno della Fede e
la Fede a sostegno della Ragione. La Ragione dell’uomo è un riflesso di quella
divina, è una partecipazione di quella divina.
Lo scopo di questi primi cristiani non è rafforzare la
Verità, ma mettere delle basi a sostegno della Fede per non farla scivolare nel
Fideismo e mortificare così l’intelligenza che Dio ci ha donato.
La Ragione quindi come arma per
difendere, sostenere e rafforzare la Fede contro gli attacchi dei suoi nemici.
Le prime parole della Fides et Ratio di Giovanni Paolo II sono: “La fede e la ragione
sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad
aver posto nel cuore dell'uomo, il desiderio di conoscere la verità e, in
definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere
anche alla piena verità su se stesso”. (cfr Es 33,
18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62],
2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2).
Che fanno il paio con quelle della Veritatis Splendor: Lo splendore della
verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo
creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che
in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il
salmista prega: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).
Tema questo che ancor oggi è campo di
battaglia e argomento in continua discussione da parte di chi ha paura della
Verità perché scombina i suoi progetti personali e ne evidenzia gli errori.
Questo ci fa notare anche come è più
che necessario riprendere ad appropriarsi dell’uso della propria intelligenza e
della propria ragione per rimanere saldi nella Fede aggredita ieri come oggi
dai figli delle tenebre.
Con l’avvento del cristianesimo
prende una forma decisiva la Teologia che abbandona le indagini sulle divinità
troppo simili all’uomo e con gli stessi difetti, per diventare una vera e
propria scienza che rappresenta una riflessione razionale del credente per
esprimere la Verità su Dio e illuminare la Fede.
Dovremo poi distinguere la Teologia
che ragiona intorno alla Dottrina della Chiesa Cattolica, da quella che si
allarga su fronti che non le competono (come per esempio le proprie idee
personali), in questo caso si può solo parlare di Filosofia della Religione, ma
non di Teologia Cattolica a servizio della Verità dove la Ragione è l’ancella
della teologia.
La Ragione è lo strumento per
comprendere il mondo e per comprendere Dio. La ragione non è solo quella cosa
che mi permette di conoscere il mondo, ma di comprendere me stesso, creato a
immagine e somiglianza di Dio, di capire che ho un’anima e che la sua salvezza
è la cosa più importante che ci sia e che mette in subordine tutto il resto. La
Ragione quindi è la chiave di accesso alla salvezza. Non c’è Verità senza la
Ragione.
Passaggio dal
Politeismo Greco al Monoteismo Cristiano
Questo porta il ragionamento a
definire che se Dio è al di fuori della materia, vuol dire che la materia è
desacralizzata ed io ci posso mettere il naso per capirla, studiarla e usarla.
Cosa che non posso fare nelle culture animistiche dove tutte le cose, animate e
non, hanno un’anima e sono quindi sacre. In questo caso non potrà mai nascere
una scienza.
Città italiana medioevale
Quindi la Scienza nasce in Europa
e più precisamente in Italia con Galileo Galilei grazie al suo essere cattolico
praticante, cosa che gli ha permesso di vedere la natura come dono di Dio da
studiare, conservare (perché cosa buona) e da usare con rispetto. Quindi
studiando ciò che Dio ha creato di buono io mi incammino verso Dio.
Studiare il mondo è glorificare
Dio. Anche questa è una rivoluzione rispetto per esempio a Platone e ad altre
culture orientali nelle quali, la vita è dolore e la materia e il corpo umano
sono dei vincoli dell’anima e dello spirito da cui ci libereremo solo con la
morte corporea, oppure dalla quale non ci libereremo mai a causa della metempsicosi,
cioè del passaggio dell’anima da un essere vivente all’altro. Anche l’eresia
dei Catari userà questo concetto che la materia è la fonte di tutti i mali e ci
si salverà solo con la purificazione da essa.
Il Dio cristiano invece crea le
cose buone e le fa secondo ragione. Ne consegue una visione antropocentrica
diversa dell’Uomo. L’Uomo ora è centro dell’universo. La visione dei greci
invece era cosmo centrica, l’uomo non era la creatura più perfetta, ma parte
della natura come tutto il resto, cioè l’uomo è un pezzo della natura, come
verrà poi ripreso nel modernismo.
Sarà determinante il considerare
l’Uomo come capolavoro di Dio e fatto a sua immagine e somiglianza, oppure
considerarlo come un pezzo di natura o di materia uguale a tutti gli altri
pezzi di natura o di materia. Ce ne accorgiamo oggi con tutte le problematiche
che nascono intorno all’etica, alla bioetica, all’aborto, all’eutanasia, ecc.
Aristotele dice dell’Uomo: vi sono molte altre cose in natura più
divine e più perfette dell’Uomo, come, per lo stare nelle cose più visibili,
gli astri di cui si compone l’Universo.
Col cristianesimo abbiamo invece
una visione piramidale, con al vertice l’Uomo e tutto il resto conseguente a
lui, cioè con il mondo visto come creazione fatta per l’uomo e consegnata alle
sue cure. Il mondo è un dono di Dio all’Uomo, ma per questo lo deve curare e
conservare, usandolo correttamente.
Altro concetto è la visione
rettilinea e progressiva del tempo. La filosofia cristiana parte dalla Genesi e
trova il suo culmine nell’incontro con Dio, l’Apocalisse. Apocalisse deriva dal greco (apokalypsis), composto di apó
("separazione") e kalýptein ("nascosto"), che significa un gettar via ciò che copre, un
togliere il velo, letteralmente scoperta o rivelazione.
Questa visione si lascia alle
spalle l’eterno ritorno del presente, cioè l’idea che tutto parte da un
Principio e poi ritorna allo stesso per ricominciare poi daccapo, come
Anassimandro e poi altri dopo di lui affermavano. Cioè consideravano la vita il
luogo dove si doveva pagare il prezzo della propria colpa di esistere oltre a
quello di avere un corpo che tiene prigioniera l’anima.
La Rivelazione cristiana porta
con sé un nuovo modo di vedere la vita. La vita in continua progressione e non
chiusa in un circolo ripetitivo, diventa allora uno stimolo a fare, a creare, a
produrre, a scoprire, a cercare, ad innovare. Questo produrrà uno sviluppo
favoloso della società occidentale. In testa a tutto vediamo un formidabile
sviluppo della Scienza, che caratterizzerà non solo il medio evo, ma tutta la
nostra cultura fino ad oggi, e questo grazie proprio all’apporto cristiano.
La martellante e continua
campagna di molti scientisti contro la Chiesa, considerata ostacolo principale
alla Scienza (tesi usata anche da Bertold Brect nella sua “Vita di Galileo”), è
uno dei grandi falsi di cui si nutrono molti “opinion leader” e che serpeggiano
nelle stesse Università dove le scienze sono nate e volute dalla stessa Chiesa
che le ha fondate e costruite.
Il primato dell’occidente sul
resto del mondo è stato dimostrato da studiosi in materia, essere la religione
cristiana che ha lanciato l’uomo nella ricerca scientifica e nello stupore
dello scoprire il “buono” che c’è in natura.
Rodney
Stark, studioso americano, non cattolico, dimostra come alla base di
“capitalismo”, “libertà politica” e “vera scienza” ci sia sempre il
cattolicesimo e il suo rigore nell’uso della ragione.
Nella sua opera “La vittoria della ragione” (ed. Lindau), Stark
affronta le questioni della nascita del capitalismo, della libertà politica e
della scienza moderna, tre temi, secondo Stark, strettamente collegati. Che il
capitalismo sia nato nel mondo protestante, per modernizzare la vecchia e
polverosa Europa cattolica, come spesso si legge ancora sulla scia di letture
spesso neppure di prima mano di Max Weber (1864-1920), è tesi da tempo
abbandonata dagli storici e dai sociologi dell’economia. Si sa che nei comuni
medioevali italiani, e prima ancora intorno ai monasteri, l’economia moderna era
già fiorente secoli prima della sua presunta nascita, attribuita da Weber alla
seconda generazione, battista e metodista, del protestantesimo (non già alla
prima, luterana e calvinista),
I libri di testo scolastici, nota Stark, raccontano ancora
che “l’Occidente è nato precisamente
quando ha superato gli ostacoli religiosi al progresso, specialmente quelli che
impedivano la scienza”. Stupidaggini: “il
successo dell’Occidente, nascita della scienza compresa, riposa interamente su
fondamenta religiose, e le persone che sono alle sue origini erano devoti
cristiani”. Anche chi riconosce qualche merito al protestantesimo resta
comunque vittima - scrive il sociologo americano, che personalmente non è né è
mai stato cattolico - di un «anti-cattolicesimo accademico», che non accenna
purtroppo a diminuire.
Dallo stesso libro ricaviamo una
ricerca fatta da studiosi cinesi (sicuramente atei e di cultura comunista) per
rispondere alla domanda del perché la cultura occidentale e stata per tanto
tempo così avanti e così dinamica rispetto a tutte le altre. Perché cioè per
così tanto tempo l’Occidente ha avuto una marcia in più rispetto all’Oriente.
Le risposte sono state:
1.
pensavamo che questo fosse dovuto al
fatto che voi possedevate armi più
potenti delle nostre,
2.
poi abbiamo pensato che fosse perché
avevate un sistema politico migliore,
3.
poi che fosse perché avevate un
sistema economico più efficiente,
4.
ma poi abbiamo compreso che la vera
risposta che giustificava davvero questo vostro primato, è che il cuore della
vostra cultura è la vostra religione, il cristianesimo.
“Ecco perché l’Occidente è stato così potente, perché le sue basi morali
cristiane nella vita sociale e culturale, sono state ciò che ha permesso
l’emergere del capitalismo e la successiva transizione verso politiche
democratiche. Non abbiamo alcun dubbio in proposito”.
Per amore di cronca in un altro suo libro
Stark sostiene che il cristianesimo si è imposto e ancora oggi prospera perché
è una religione che offre una risposta alle domande che la vita pone agli
uomini e lo fa in armonia con la ragione dell’uomo, la sua ricchezza spirituale
e le sue aspettative di benessere materiale. (Stark “Il trionfo del cristianesimo” ed.
Lindau)
Nei primi secoli dopo Cristo la Filosofia occidentale vede
il delinearsi di una nuova corrente di pensiero: la Dottrina Cristiana che
prenderà il nome di Patristica, dal termine Padre, cioè dai Padri fondatori
della Chiesa.
Le teorie filosofiche più diffuse in questa epoca sono
ancora quelle derivate dalla cultura greca classica: il Platonismo e lo
Stoicismo. Il Cristianesimo attingerà ad esse sia sul piano terminologico che
su quello dei contenuti.
Così sant’Agostino dirà che la filosofia Platonica era stata
quella che più si avvicinava al cristianesimo, soprattutto per la concezione
dell’Anima e per l’oggettiva realtà ideale del bene oggetto di conoscenza e insieme
supremo principio morale. I platonici inoltre denunciavano i culti
politeistici come pratiche superstiziose e mettevano in evidenza l’unità, la
spiritualità e l’assoluta trascendenza di Dio.
Il cristianesimo attinse largamente a questa impostazione
aggiungendo però degli elementi che lo distinguevano in modo netto dalla
Filosofia greca: la Rivelazione fondata su testi di origine divina: la Bibbia
e la Fede che conduceva alla Salvezza. Il rapporto con il pensiero greco fu
inizialmente discreto per poi evolversi fino a considerare la filosofia classica
una premessa della Verità.
I Padri della Chiesa
Chi sono i Padri della Chiesa? Sono prevalentemente Vescovi
(successori degli Apostoli) delle grandi comunità cristiane, delle grandi Chiese
locali dell’area Mediterranea dei primi secoli del cristianesimo (qualcuno
nemmeno sacerdote) e che sono stati punto di riferimento per le comunità che
hanno appreso i fondamenti della fede da loro.
Perché parlare dei Padri della Chiesa e dell’era Patristica,
all’interno di un percorso rigorosamente filosofico (non teologico)?
Perché l’epoca patristica è come un crogiuolo nel quale si
fondono e danno vita ad una realtà nuova le conquiste della Filosofia greca,
quelle più significative ed illuminanti della Filosofia latina, soprattutto
nel loro aspetto pratico, cioè morale e giuridico, e il Cristianesimo.
La filosofia greca che ha un aspetto contemplativo
nella ricerca dei principi e della Verità di Dio, dell’Uomo e del Mondo (la
verità delle cose).
La Filosofia dei
latini, più pratica
e alla ricerca dei Valori etici e giuridici (della vita personale e della vita
sociale).
La Rivelazione
Cristiana che ci
parla della Via da seguire per raggiungere la Verità e la Vita (piena), cioè
la Felicità.
Dalla fusione di queste tre componenti del pensiero
dell’epoca patristica nasce una nuova vita che caratterizzerà per sempre il
mondo occidentale, sotto tutti gli aspetti, anche quando ci si ribellerà ad
essa. Dal V secolo d.C. fino ai nostri giorni tutto dipenderà da questa
fusione che si è creata in questo periodo. Tutto ciò che è venuto dopo o
sviluppa quello o lo combatte. L’influenza di questo periodo su tutto
l’occidente è incontestabile.
Nell’epoca patristica nasce un pensiero, una visione del
Mondo, dell’Uomo, della Cultura, della Religione, della Società, di tutto, dal
quale non si prescinde più. Per questo non è possibile non occuparcene.
Vediamo allora chi realmente sono questi Padri della Chiesa
che hanno fatto da crogiolo e che caratteristiche possiedono. Sono quattro
queste caratteristiche:
1.
Antichità - sono vissuti dal I secolo al V secolo (con delle propaggini fino al VII secolo)
2. Ortodossia -
il loro insegnamento rispecchia ed è sorgente dell’insegnamento che poi
diventerà la dottrina ininterrotta della tradizione cristiana.
3. Santità della
loro vita – Apprezzata spesso dagli stessi non credenti.
4.
Riconoscimento unanime di tutto il mondo cristiano (di
allora e seguente).
Esistono poi i così detti Scrittori ecclesiastici antichi che non hanno tutte assieme
queste quattro caratteristiche, ma che comunque hanno voce in capitolo e sono
pure essi un riferimento importante.
Dividiamo la Patristica in tre momenti.
Il Primo periodo, quello dei Padri apostolici. Dei Padri cioè che hanno conosciuto gli Apostoli
o che sono vissuti nel periodo nel quale gli Apostoli erano ancora vivi.
Discepoli degli Apostoli quindi o discepoli dei primi discepoli degli Apostoli
(prima e seconda generazione cristiana).
A loro volta si distinguono in Padri della Chiesa dell’area
Orientale e in Padri della Chiesa dell’area Latina.
dal I sec. al
Concilio di Nicea 325
I Padri Orientali
Giustino di Naplusa che per la prima volta tenta di
presentare la nuova fede all’Autorità dell’Impero.
I Padri Occidentali
In questo periodo fioriscono le prime eresie che diventano
di fatto un forte stimolo per i Padri della Chiesa per sviluppare il loro
pensiero sia filosofico che teologico soprattutto su Dio e sull’Uomo. Teologia
e Antropologia (ànthropos = "uomo" e lògos = "parola, discorso su",
cioè studio dell’Uomo
da tutti i punti di vista) si affinano in questa attività Apologetica (apologhía,
«discorso in difesa» dei propri dogmi, in difesa da opposizioni esterne ed
eretiche).
Le prime eresie:
Lo Gnosticismo è un movimento filosofico-religioso, molto articolato (gnósis «conoscenza» = "dottrina della
salvezza tramite la sola conoscenza personale", definizione piuttosto
parziale del movimento, basata sull'etimologia della parola).
Novaziano, personaggio complesso, antipapa
e seguito da molti in diverse regioni. I
suoi seguaci erano caratterizzati da un forte irrigidimento e rigorismo
morale, chiamarono se stessi katharoi,
o Puri, termine usato, poi, nel medioevo dai catari.
Arianesimo, vasto movimento eretico che prende il
nome dal prete di Alessandria Ario (256-336) che non riconosce a Gesù Cristo la
stessa sostanza del Padre.
Il periodo d’oro della Patristica (Secondo periodo)
dal Concilio di Nicea 325 al Concilio di Calcedonia 451. La
scelta di racchiudere i periodi con riferimento ai concili è dovuto al fatto
che in essi si ritrovavano i Padri della Chiesa a discutere e a sviluppare
insieme i loro pensieri e le loro teorie in una sorta di fucina dalla quale
emergevano gli apici della Filosofia, della Teologia e dell’Apologetica.
I Padri Orientali:
I Padri Occidentali:
Girolamo, noto per la sua traduzione delle
Scritture in Latino (Volgata) direttamente dal testo ebraico (non da quello
greco).
Le Eresie di
questo eccezionale periodo sono le eresie cuore dell’antichità cristiana e
sulle quali hanno lavorato i Padri della Chiesa.
Pelagio (monaco irlandese? Che sosteneva la
capacità dell’Uomo di salvarsi da solo) e
Donato (vescovo di Cartagine per il quale alla Chiesa dovevano appartenere
solo i perfetti cristiani), contro
i quali ha combattuto strenuamente Sant’Agostino.
Nestorio, (patriarca di Costantinopoli che non
accettava che Maria fosse chiamata Madre di Dio – Theotòkos) protagonista
in negativo del Concilio di Calcedonia contro
il quale hanno combattuto con vigore Cirillo di Gerusalemme e Giovanni
Crisostomo.
Il declino della patristica (terzo periodo)
dal Concilio di Calcedonia 451 fino al VII secolo.
In Oriente
abbiamo:
In Occidente abbiamo:
Severino Boezio, che sarà poi un punto di
riferimento per la nascita della Scolastica.
Isidoro di Siviglia, grande protagonista di questa
epoca.
Fatti storici significativi
330
|
trasferimento della capitale da Roma a Costantinopoli da parte
di Costantino il grande
|
381
|
concilio ecumenico di Costantinopoli
(conferma il credo niceno)
|
395
|
Teodosio divide l'Impero romano in Oriente e Occidente
|
410
|
sacco di Roma, prima da parte di Alarico e
poi dai Vandali
|
431
|
concilio di Efeso (vieta qualunque
aggiunta al credo niceno)
|
450
|
concilio di Calcedonia (condanna la simonia a seguito
dell'allarmante diffondersi di vendita di cariche ecclesiastiche)
|
476
|
inizia l'Alto Medioevo: Odoacre invia a
Bisanzio le insegne imperiali ed è la fine dell'Impero romano occidentale;
lotte tra re germanici, papi, imperatori e basilischi che divideranno
l’Europa in una dozzina di stati monarchici che si faranno la guerra per un
millennio. Scalata e apogeo della Chiesa romana. Demolizione della rete
viaria imperiale per non facilitare le ondate barbariche, abbandono degli
acquedotti e delle reti fognarie romane e di altre opere che per incuria
vanno in rovina. Inizio dei così detti “secoli bui”.
|
Il Medioevo
Il Medioevo è comunemente considerato in tre periodi:
L’”Alto Medioevo”
va dal V al X-XI secolo ed è caratterizzato da condizioni
economiche disagiate e da continue invasioni da parte di Slavi, Arabi, Vichinghi e Magiari. Il vicino Oriente è conteso fra
Bizantini e Mussulmani. Nasce la prima crociata (1096)
.
Il "Pieno Medioevo" è il periodo che va dall'XI-XII al XIV secolo e che vede lo sviluppo di forme di governo basate su signorie e
vassallaggio, con la costruzione di castelli e la rinascita della vita nelle
città. È anche il tempo delle crociate (ultima nel 1302) che comunque non
riescono a liberare la terra santa dai mussulmani, ma consentono la presenza
dei francescani a custodire i luoghi santi.
Il "Tardo Medioevo" include il XIV ed il XV secolo e vede una generale crisi economica,
politica e sociale. Conosce la devastante Peste Nera del 1348 e l'affermazione delle
autorità regie a scapito di quelle feudali.
Medioevo, l’infanzia dell’Europa - di Sandro Carocci
dall’Enciclopedia dei ragazzi (2006)
Medioevo è il nome
dato a un periodo molto lungo della storia del mondo cristiano. È durato mille
- millecento anni. In questa lunga epoca della nostra storia, sono avvenute
moltissime cose. È stata l’età di Carlo Magno e della cavalleria, delle
crociate e dei Templari, dell’espansione del cristianesimo e dell’affermazione
del potere del papa sopra tutta la cristianità; ma è stata anche l’epoca a cui
risalgono tanti oggetti a noi familiari, come per esempio gli occhiali o
l’assegno bancario, tante città dove viviamo, tanti modi di pensare. L’epoca in
cui è nata la stessa Europa. Il Medioevo, insomma, è un po’ come la nostra
infanzia: un mondo che è insieme lontano e vicino.
Tante date per un nome
Medioevo vuol dire
«età di mezzo». L’espressione venne inventata dagli uomini di cultura del
Rinascimento, che fra 15 e 16 secolo andavano riscoprendo, e si sforzavano
appunto di far rinascere, la letteratura e la cultura del mondo antico. Fra il
mondo dei sapienti antichi e il loro presente, questi intellettuali del
Rinascimento collocavano un lungo periodo di decadenza: un’età di mezzo,
appunto, che separava gli splendori del mondo antico dai nuovi splendori che,
grazie a loro, la cultura si apprestava a rivivere.
Le date prese come
inizio e come termine di questa età di mezzo cambiano a seconda degli storici.
Per lo più, si dice che il Medioevo è cominciato nel 5° - 6° secolo dopo Cristo: alcuni mettono come data
d’inizio il 410, quando il saccheggio di Roma a opera dei Visigoti mostra che
la potenza della capitale dell’Impero è ormai alle corde; altri preferiscono il
476, quando viene deposto Romolo Augustolo, ufficialmente l’ultimo imperatore
della parte occidentale dell’Impero Romano. Il termine finale, di solito, è
posto dopo la metà del 15° secolo:
alcuni scelgono l’anno 1453, quando Costantinopoli viene conquistata dai
musulmani turchi, altri il 1492, quando fu scoperta l’America.
Molti Medioevi
diversi
Il Medioevo, dunque, è
l’età tra la fine del mondo antico e
prima del Rinascimento e dell’Età moderna. Dunque, è un’epoca definita
dall’esterno, e non sulla base di proprie caratteristiche unitarie.
Non deve allora
meravigliare che il Medioevo sia stato, in primo luogo, un’epoca di contrasti.
Si può anzi dire che sono esistiti tanti Medioevi diversi.
Il Medioevo è l’età
dei cavalieri, degli ordini mendicanti e dei mercanti che inventano le Banche.
Un Medioevo
fantastico
Oltre ai tanti altri
contrasti del millennio detto Medioevo è possibile anche trovare alcuni
elementi che sembrano caratterizzarlo come un’epoca unitaria. Prima, però, è
necessario chiarire un punto: più che per ogni altra epoca storica, per il
Medioevo sono state spesso confuse realtà e fantasia. In primo luogo,
naturalmente, appartengono a un Medioevo fantastico (inventato da uomini dei
secoli successivi e ben diverso dal vero Medioevo) gli elfi, le fate, i maghi,
i draghi e tanti altri prodotti della nostra cultura contemporanea. Ma sono
frutto della fantasia e non della realtà storica anche altre immagini del
Medioevo: l’idea, per esempio, che sia stato un periodo di violenza, di superstizione,
di oppressione, o di povertà. Nei giornali o alla televisione, la parola
medievale viene utilizzata spesso per indicare pratiche particolarmente
retrograde, forme di oppressione accentuate, credenze e superstizioni di ogni
tipo. Questo modo di pensare il Medioevo deriva più dalla fantasia, che dalla
realtà storica.
Medioevo reale
Si dice, per esempio,
che il Medioevo sia stato l’epoca della fame e delle carestie, oppure della
peste, oppure ancora della tortura. E chi potrebbe mai negare che durante quei
mille anni che chiamiamo Medioevo molti uomini siano stati orribilmente
torturati, e altri siano morti di fame o di peste? Ma sbaglieremmo a credere
che si tratti di fenomeni tipici del Medioevo. Semmai, è vero che hanno
caratterizzato molto di più i secoli del Rinascimento e dell’Età moderna.
Per gran parte del
Medioevo la peste non è esistita. L’ultima epidemia di peste del primo
millennio risale al 541-542, la prima del millennio successivo è soltanto del
1347-1350. Quanto alla tortura, fino al 1200-1250 accadeva molto di rado che
venisse usata. Il sistema giudiziario, infatti, era molto semplice. I giudici,
più che condurre una vera indagine o cercare di estorcere la confessione
dell’imputato, prendevano piuttosto atto dell’opinione e delle testimonianze
dei vicini, dei conoscenti, dei parenti. Soltanto nel 13° e soprattutto nel 14° -15° secolo il modo di amministrare la giustizia ha
subito un cambiamento: il giudice è diventato un funzionario che deve stabilire
la verità, attraverso indagini e interrogatori. È nato così un tipo di sistema
giudiziario che fa anche uso della tortura, per ottenere la confessione dei
sospetti o anche per obbligare i testimoni a dire la verità. Dunque, la tortura
è diventata una pratica diffusa solo negli ultimissimi secoli del Medioevo, e
si è poi diffusa di più in Età moderna.
Un’invenzione
medievale: il castello
Sono esistiti due tipi
di castello. Uno lo conosciamo bene: un palazzo circondato da mura, torri,
fossati e altre difese dove vive il nobile signore con i suoi parenti, i suoi
guerrieri e – naturalmente – i suoi servitori. Questo tipo di castello era
diffuso soprattutto nel Centro e nel Nord dell’Europa. In Italia e in altre
regioni dell’Europa meridionale i castelli più comuni erano invece di un tipo
che solo raramente compare nei film e nei romanzi: non erano una fortezza di
nobili e cavalieri, ma una piccola città fortificata. Il castello, cioè, era un
villaggio circondato da mura e difeso spesso anche da una o più torri. Vi
abitavano contadini, artigiani, commercianti e, in un bel palazzo dotato di
robuste porte, anche il signore con il suo seguito.
Entrambi questi tipi
di castello avevano lo stesso scopo di fondo: che non era, come possiamo
pensare, fare la guerra, ma comandare. Solo pochi castelli infatti, nascevano
con una funzione unicamente militare. Era il caso delle fortezze costruite
nelle zone di confine, come quelle dei crociati in Terra Santa. La grande
maggioranza dei castelli, invece, veniva costruita con lo scopo di dominare il
territorio circostante. Il signore, con il suo castello, proteggeva gli
abitanti che vi vivevano, e quelli che vi si rifugiavano in caso di pericolo.
In cambio, costoro ubbidivano ai suoi ordini, gli pagavano delle tasse e, se
commettevano qualche reato, venivano giudicati dal signore (feudalesimo).
L’età della fede
Il Medioevo fu un’età
profondamente religiosa. La religione cristiana guidava i comportamenti e i
modi di pensare in una misura superiore a ogni altra epoca. Ma attenzione:
nonostante sopravvivessero molte superstizioni e credenze pagane, e nonostante
il livello culturale di molti uomini del Medioevo fosse davvero basso, non fu
una religione vissuta con tranquillità, fiducia, assenza di dubbi e di spirito
critico. Al contrario, per tutto il Medioevo i fedeli si interrogarono
ansiosamente sui modi migliori per realizzare la vita cristiana. Intorno
all’interpretazione dei Vangeli sorsero eresie e conflitti con la Chiesa, conflitti
che portarono anche a feroci scontri armati, specie se le fazioni erano
appoggiate da un principe o da uomini senza scrupoli che tentavano la scalata al
potere appoggiando la Chiesa o gli eretici.
Nel contempo, si
diffusero molti modi, talvolta davvero difficili, di praticare la religione e
di ricercare la salvezza dell’anima. Un modo fu il monachesimo e l’eremitismo: i
fedeli abbandonavano la famiglia, i propri beni e il mondo dei laici, e
andavano a vivere in comunità separate, dove si viveva rispettando una regola
che scandiva ogni momento della giornata, oppure si ritiravano in luoghi
inaccessibili, dove meditare in solitudine il messaggio di Cristo.
Molti contrasti
riguardarono anche il ruolo da attribuire ai sacerdoti e agli altri,
numerosissimi, chierici. La stessa autorità del papa,
che incoronava Re e Imperatori, era
molto spesso contestata dagli stessi. Per tutta la prima metà del Medioevo, in
particolare, si pensava che il papa fosse soltanto un vescovo fra gli altri,
anche se certamente fra i più importanti. Fu soltanto nell’11° e 12° secolo che i papi riuscirono ad affermarsi
come capi di tutta la cristianità. I papi, i cardinali e più in generale tutta
la Chiesa divennero allora un organismo molto potente, ascoltato e di
conseguenza contrastato da chi gli voleva contendere questo potere.
L’età dell’
integrazione etnica
Noi che viviamo in una
società multietnica, nella quale si pone con forza il problema dell’incontro
fra culture e tradizioni diverse, potremmo prendere esempio dal Medioevo.
Perché è stato per l’appunto nel corso dei primi secoli del Medioevo che si è
realizzata l’integrazione etnica forse più riuscita nella storia del nostro
continente. Il mondo medievale, e dunque anche quello dove viviamo oggi, è
infatti frutto dell’incontro e della fusione fra due grandi tradizioni: quella
di Roma e dei popoli romanizzati, e quella delle popolazioni barbare (le varie
etnie germaniche, ma anche slave e magiare).
A partire dal 5° secolo e fino al 9° - 10° secolo, nelle varie regioni del continente
europeo si è prepotentemente affacciato il problema della compresenza fra le
popolazioni romane dei nuovi popoli, per lo più germanici, immigrati in massa
nelle regioni dell’antico impero, che avevano assunto il potere politico e
militare (le invasioni
barbariche).
Fra i Romani e i
Germani, all’inizio, le differenze erano enormi: nel mondo romano, per esempio,
i ceti sociali benestanti curavano la preparazione culturale, la pulizia del
corpo, l’amministrazione delle grandi proprietà agricole; i Germani, invece,
non frequentavano certo le terme, disprezzavano chi si occupava della gestione
della terra e alla preparazione culturale preferivano di gran lunga quella al
combattimento. Eppure con il tempo i popoli di tradizione diversa si fusero fra
loro, e l’unione etnica comportò anche la trasmissione e l’adattamento delle
rispettive culture e modi di comportamento. Dall’incontro fra Latini e Germani
nacque una nuova civiltà, la nostra (regni
romano-barbarici).
A partire dagli ultimi
decenni del 13° secolo questa vasta
partecipazione ai governi comunali non fu più capace di garantire la pace
interna e una buona amministrazione. Il governo delle città passò allora nelle
mani di un singolo cittadino, il più potente o il più abile, che venne chiamato
signore, e il suo governo fu detto signoria. Durante il 14° secolo, in gran parte delle città i comuni
furono sostituiti da signorie.
Le terre incolte
La parola venne usata la
prima volta dall'abate irlandese San Colombano per
indicare l’occidente cristiano, cioè i vari paesi conquistati da Carlo Magno il
cui esercito aveva fermato l’espansione araba e gli invasori musulmani. Nel 14°
-15° secolo, passò poi a indicare grosso
modo gli stessi territori di oggi. Quel che più conta, però, non è la parola
Europa, che è il nome della figlia di Agenore re di Tiro, dalla
quale discende Minosse re di Creta che diede vita alla civiltà cretese, culla
della civiltà europea, ma lo sviluppo di una civiltà comune alle varie regioni dello
stesso territorio.
Oggi noi diamo per
scontato che in Europa (e più in generale in quella parte del mondo che
dall’Europa è stata plasmata) esistano una serie di valori, di comportamenti e
di istituzioni comuni. Ci sembra normale, per esempio, che esistano università,
che le città siano dotate di un proprio comune, che ai bambini si dia il nome
di santi, che le leggi fondamentali seguano determinati principi (per esempio,
l’idea che l’imputato è innocente finché non se ne prova la colpevolezza), che
esistano Stati nazionali e via dicendo. Ebbene, questi elementi tipici della
civiltà europea sono nati nel Medioevo, e durante il Medioevo si sono diffusi
su tutto il continente. Alcuni sopravvivono ancora oggi (gli Stati nazionali,
anzi, sono nati tra il 14° e il 16° secolo in Inghilterra e Francia, intorno alle
monarchie di quei due paesi, e solo in Età moderna si sono diffusi in tutto il
continente).
Altri elementi di
origine medievale tipici di tutta l’Europa oggi non contano più molto, ma sono
stati in passato molto importanti: l’intensità e l’osservanza con cui era
vissuta la fede cristiana, i castelli, la cavalleria, la nobiltà, la creazione
di una rete omogenea di vescovi sottoposti all’autorità del papa, la diffusione
dell’abitudine di stendere per iscritto una serie di contratti, e tanti altri
elementi. Proprio nel corso del Medioevo, soprattutto dopo il 950-1000, tutti
questi elementi si sono lentamente diffusi a tutto il territorio che iniziava a
venire chiamato Europa. Assieme alla parola, è nata così una civiltà unificata
da istituzioni, modi di pensare e di agire prettamente cristiani (le nostre
radici).
Il Monachesimo e San Benedetto
L’unica
autorità in grado di mantenere una organizzazione centralizzata fu la Chiesa:
il Cristianesimo, unito alla cultura classica veicolata dal latino
ecclesiastico, svolse un ruolo fondamentale nella prosecuzione di una identità
comune europea.
In
questo contesto si presentò al mondo un monaco: San Benedetto da Norcia (480 – 547). Con lui sorse il monachesimo
occidentale partito dopo tre anni di solitudine
presso il Sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica ( monastero: dove
più monaci fanno vita comune, sottoposti alla medesima regola) prima a Subiaco, poi a Montecassino.
La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con
saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea
dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore
hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode
liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità
fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel
continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione
umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte,
saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò
patrono d'Europa (24 ottobre 1964).
La
missione di Benedetto fu ricordata da Giovanni Paolo II , nella visita al Sacro Speco di Subiaco del 28 settembre
1980.
“Benedetto da Norcia, che per la sua azione
profetica ha cercato di far uscire l’Europa dalle tristi tradizioni della
schiavitù, sembra dunque parlare, dopo quindici secoli, a numerosi uomini e a
molteplici società che bisogna liberare dalle diverse forme contemporanee di
oppressione dell’uomo. La schiavitù pesa su colui che è oppresso, ma anche
sull’oppressore. La parola d’ordine “ora et labora” è un messaggio di libertà
per tutti oppressi e oppressori.
Di più, questo messaggio benedettino non è oggi
all’orizzonte del nostro mondo, un richiamo a liberarsi dalla schiavitù del
consumismo d’un modo di pensare e di giudicare, di stabilire i nostri programmi
e di condurre il nostro stile di vita unicamente in funzione dell’economia?
In questi programmi scompaiono i valori umani
fondamentali. La dignità della vita è sistematicamente minacciata. La famiglia
è minacciata, vale a dire questo legame essenziale reciproco fondato sulla
confidenza delle generazioni, che trova la sua origine nel mistero della vita e
della pienezza di tutta l’opera dell’educazione. È anche tutto il patrimonio
spirituale delle nazioni e delle patrie che è minacciato.
Siamo in grado noi di frenare tutto questo? Di
ricostruire? Siamo in grado di allontanare dagli oppressi il peso della
costrizione? Siamo capaci di convincere il mondo che l’abuso della libertà è
un’altra forma di costrizione?
San Benedetto ci è stato donato come patrono
dell’Europa dei nostri tempi, del nostro secolo, per testimoniare che siamo
capaci di fare tutto questo”.
La
profezia di Benedetto pervase, inarrestabile, l’intera società di allora. I
monaci costruirono la cultura europea attraverso il Vangelo (la Buona Novella
che Gesù Cristo ci ha portato proponendosi come Via, Verità e Vita per la vera
felicità dell’uomo). Quella dei monaci non fu solo una attività di studio e di
diligente copiatura di codici. La Regola
e il principio “ora et labora”
seppero infondere nei monaci (e in tutti gli uomini che si avvicinavano a Dio)
il desiderio e la volontà d’impegnarsi in tutte le attività umane (fare bene
tutte le cose). I Monaci e chi li frequentavano, divennero dei ricostruttori di
quella civiltà umana e cristiana che si andava dissolvendo (esattamente come
oggi, tanto che si parla sempre di più di un “suicidio” della civiltà
occidentale, in atto). I Monaci infatti attraverso la preghiera, il lavoro,
l’obbedienza e la solitudine fecero da tramite tra gli uomini e Dio. Crearono
insediamenti umani, bonificarono e coltivarono terreni incolti, si espansero in
modo regolare e portarono benessere e sicurezza in molte terre d’Europa.
Stimolarono la rinascita culturale, artistica, morale e civile nelle terre
evangelizzate, iniziando a tessere quella che sarà poi l’Europa, cioè un
contesto sociale caratterizzato da un’unica cultura, quella cristiana con al
centro Dio e la sua legge divina. Cosa che poi l’illuminismo e il pensiero
moderno cercheranno di distruggere sistematicamente, mettendo al centro l’Uomo
e il suo diritto a decidere di volta in volta cos’è il bene e cos’è il male,
cioè la rivincita sul peccato originale.
(Liberamente
tratto dall’articolo di Vincenzo Nicosia – Rivista “Radici cristiane” n. 101 del febbraio 2015.)
San Benedetto da Norcia (480-547)
Dall’Udienza Generale del 9.04.2008 di Papa Benedetto XVI
San
Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio
pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san
Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse
meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36).
Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto
appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto
nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la
sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo
della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di
lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia
nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare
mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa
alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona
a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice
della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei
Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole
semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio,
ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della
vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta
all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
La
nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così
dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi
genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli
però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente
credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato
dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto,
e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli
Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della
conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine
dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide
(oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità
religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per
tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo,
costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il
periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo
di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali
di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di
porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la
tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che,
solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una
parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua
anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere
così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi
suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.
Nell’anno
529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno
spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un
invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è
rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse
Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose
perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della
sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle
dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura
circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita
monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha
anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve
dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo
547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la
famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli
trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero
secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto
fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua
esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di
Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella
confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così
non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi
bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella
sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del
Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè
all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3).
Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol.
9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi
rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma
(Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e
contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto
con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata,
l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera
ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente
(5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e
proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace.
Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore
(5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un
intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo
e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza
di Dio.
All’obbedienza
del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero
tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto
nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di
esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto,
poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo
insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere
insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore.
Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza
del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad
“accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e
ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in
grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta
“il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la
soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna
una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità
pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa
ascoltare e sa imparare da quanto ascolta. Benedetto qualifica la Regola come
“minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre
indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una
guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo
sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale,
essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI,
proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese
riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la
formazione della civiltà e della cultura europea.
Oggi
l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre
mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche
utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e
duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici,
ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle
radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa.
Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere
all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi,
nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo
II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità”
(Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo
anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il
grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte
di vivere l’umanesimo vero.
Programma della seconda Tappa:
I Lumi del Medioevo
Nessun commento:
Posta un commento