martedì 25 aprile 2017

2t-6-San Tommaso d'Aquino (1)

Le slides e la Dispensa












































San Tommaso doctor angelicus

San Tommaso d’Aquino è discepolo di Alberto Magno, un pensatore che per l’epoca era un progressista, perché molto aperto alla filosofia di Aristotele recentemente arrivata, seppur in grande ritardo, in Europa. Per Alberto questa era l’opera più perfetta a cui la ragione ha potuto arrivare. La ragione per lui era identificata con Aristotele. Tanto che san Tommaso quando parlerà di Aristotele lo chiamerà semplicemente “il filosofo”, cioè il filosofo per eccellenza lontanissimo dagli altri, perché rappresenta la Ragione, la ricerca razionale, la speculazione razionale, insomma come deve essere la filosofia.
Non fu però una cosa facile, perché l’influenza di Platone, già conosciuto da tempo, era profondamente radicata e facilmente utilizzata a sostegno del cristianesimo grazie specialmente a sant’Agostino, chiamato anche il Platone cristiano.
Tommaso di contro fu chiamato l’Aristotele cristiano perché, con maggiori difficoltà che per Platone, riuscì a leggere, penetrare e spiegare  i misteri della religione cristiana con le categorie concettuali di Aristotele. Se la Ragione è incarnata dalla filosofia aristotelica e se la Ragione è un dono di Dio, non può essere in contrasto con la Fede che è anch’essa un dono di Dio.
« Ciò che si accetta per fede sulla base della rivelazione divina non può essere contrario alla conoscenza naturale... Dio non può indurre nell'uomo un'opinione o una fede contro la conoscenza naturale... tutti gli argomenti contro la fede non procedono rettamente dai primi principii per sé noti. »
(Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, I, 7.)
Con Tommaso Fede e Ragione avranno un ruolo essenziale, ma con una soluzione originalissima:
Tommaso è quindi lontanissimo da Tertuliano “credo qui absurdum” che metteva la Fede così al di sopra della Ragione da considerare ogni ragionamento o filosofia fonte solo di errori. Ma è lontano anche dalla visione agostiniana dove Fede e Ragione sono sempre fortemente unite, l’Uomo conosce con la Ragione aiutata dalla Fede e con la Fede aiutata dalla Ragione. Credo per capire, capisco per credere.
Tommaso dice invece un’altra cosa:
la Ragione è autonoma, nel senso che può attingere delle verità indipendentemente dalla Fede, proprio perché è nella natura dell’Uomo usare la Ragione. Nella “Summa Contra Gentiles” dice:

Che Dio esiste è una Verità di Ragione, cioè ci si arriva con la Ragione e non è necessaria la Fede, come ha fatto per esempio Aristotele. Cioè si può arrivare a Dio con le sole forze della nostra Ragione naturale.
Quando noi dobbiamo difendere la credibilità della Fede “Contra Gentiles”, dobbiamo partire da ciò che ci accomuna con i non credenti, cioè la Ragione.
La Ragione è comune ad ogni essere umano e ci sono Verità alle quali possiamo arrivare con la sola ragione (senza l’aiuto della Fede).
La Ragione è utile alla Fede in diversi modi:
ci sono delle Verità che son “preambula fidei”, cioè dei punti di partenza dai quali poi si potrà accedere alla Fede. La Ragione ci aiuta a capire che Dio esiste e quando siamo convinti che Dio esiste si è più disposti ad accettare una sua Rivelazione. Cioè capire chi Egli è davvero, la sua natura, la sua essenza, ecc.
la Ragione inoltre ci aiuta a combattere e controbattere le tesi contrarie alla Fede e darle credibilità.
Inoltre, posto che la Ragione è autonoma, posto che la Ragione arriva da sola a mostrare i preamboli della Fede, posto che la Ragione ci aiuta a controbattere le tesi contrarie alla Fede, Tommaso ci dice che però la parola ultima la dà sempre la Fede. In altre parole la Fede è regola della Ragione, perché se la Ragione arriva ad una considerazione contraria alla Fede ha ragione la Fede e non la Ragione, nel senso che sicuramente sarà stato un  passaggio del ragionamento che è uscito di strada.
La Ragione è così autonoma e indipendente che per esempio per dimostrare che Dio esiste si può avvalere da diverse vie o ragionamenti per dimostrarlo. Tommaso ne individua fino a 5. A dimostrare anche che non è poi così difficile arrivare a Dio con la Ragione. La Ragione ci fa arrivare all’esistenza di Dio, la Fede ci dice chi Dio è. Cioè la Fede nella rivelazione divina ci dice chi è realmente Dio.

La summa theologiae


È estremamente interessante vedere come Tommaso argomentava le sue Tesi in questa sua opera maggiore, ma prima un breve approfondimento.
La Summa Theologiae è la più famosa delle opere di Tommaso d'Aquino. Fu scritta negli anni 12651274, negli ultimi anni di vita dell'autore. La terza e ultima parte rimase incompiuta.
È il trattato più famoso della teologia medioevale, e la sua influenza sulla filosofia e sulla teologia posteriore, soprattutto nel cattolicesimo, è incalcolabile.
Concepita come un manuale per lo studio della teologia più che come opera apologetica di polemica contro i non cattolici, nella struttura dei suoi articoli è una esemplificazione tipica dello stile intellettuale della scolastica. Deriva da un'opera anteriore, la Summa Contra Gentiles, che era di contenuto più apologetico.
Tommaso la scrive tenendo presenti le fonti propriamente religiose, cioè la Bibbia e i dogmi della chiesa cattolica, ma anche le opere di alcuni autori dell'antichità. Per Tommaso, Aristotele è l'autorità massima in campo filosofico, e Agostino di Ippona in campo teologico. Sono citati frequentemente anche Pietro Lombardo, teologo e autore del manuale usato all'epoca, gli scritti del secolo V del Pseudo-Dionigi l'Areopagita, Avicenna e Mosè Maimonide, studioso giudeo non molto anteriore a Tommaso, del quale egli ammirava l'applicazione del metodo investigativo.

Struttura dell'opera

Scritta in latino, la Summa è costituita da articoli che hanno tutti la stessa struttura: una serie di questioni circa il tema trattato, formulate come domande; ad ogni questione si enunciano anzitutto gli argomenti od osservazioni che sono contro la tesi proposta (videtur quod, "sembra che"), poi un argomento decisivo a favore (sed contra, "ma al contrario"), poi nel corpo principale si sviluppa la risposta alla questione (respondeo, "rispondo") e infine si contestano, se necessario, una ad una le obiezioni iniziali ed a volte lo stesso sed contra.
Riportiamo qui come esempio la Questione 2 della Summa Theologicae:

Questione 2 - Trattato di Dio. Esistenza di Dio

 ARTICOLO 1

Se sia di per sé evidente che Dio esiste

SEMBRA che sia di per sé evidente che Dio esiste. Infatti:
1. Noi diciamo evidenti di per sé quelle cose, delle quali abbiamo naturalmente insita la cognizione, com'è dei primi principi. Ora, come assicura il Damasceno "la conoscenza dell'esistenza di Dio è in tutti naturalmente insita". Quindi l'esistenza di Dio è di per sé evidente.
2. Evidente di per sé è ciò che subito s'intende, appena ne abbiamo percepito i termini; e questo Aristotele lo attribuisce ai primi principi della dimostrazione: conoscendo infatti che cosa è il tutto e che cosa è la parte, subito s'intende che il tutto è maggiore della sua parte. Ora, inteso che cosa significhi la parola Dio, all'istante si capisce che Dio esiste. Si indica infatti con questo nome un essere di cui non si può indicare uno maggiore: ora è maggiore ciò che esiste al tempo stesso nella mente e nella realtà che quanto esiste soltanto nella mente: onde, siccome appena si è inteso questo nome Dio, subito viene alla nostra mente (di concepire) la sua esistenza, ne segue che esista anche nella realtà. Dunque che Dio esista è di per sé evidente.
3. È di per sé evidente che esiste la verità; perché chi nega esistere la verità, ammette che esiste una verità; infatti se la verità non esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualche cosa di vero, bisogna che esista la verità. Ora, Iddio è la Verità. "Io sono la via, la verità e la vita". Dunque che Dio esista è di per sé evidente.

IN CONTRARIO: Nessuno può pensare l'opposto di ciò che è di per sé evidente, come spiega Aristotele riguardo ai primi principi della dimostrazione. Ora, si può pensare l'opposto dell'enunciato: Dio esiste, secondo il detto del Salmo: "Lo stolto dice in cuor suo "Iddio non c'è"". Dunque che Dio esista non è di per sé evidente.

RISPONDO: Una cosa può essere di per sé evidente in due maniere: primo, in se stessa, ma non per noi; secondo, in se stessa e anche per noi. E invero, una proposizione è di per sé evidente dal fatto che il predicato è incluso nella nozione del soggetto, come questa: l'uomo é un animale; infatti animale fa parte della nozione stessa di uomo. Se dunque è a tutti nota la natura del predicato e del soggetto, la proposizione risultante sarà per tutti evidente, come avviene nei primi principi di dimostrazione, i cui termini sono nozioni comuni che nessuno può ignorare, come ente e non ente, il tutto e la parte, ecc. Ma se per qualcuno rimane sconosciuta la natura del predicato e del soggetto, la proposizione sarà evidente in se stessa, non già per coloro che ignorano il predicato ed il soggetto della proposizione. E così accade, come nota Boezio, che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti, questo, p. es.: "le cose immateriali non occupano uno spazio".
Dico dunque che questa proposizione Dio esiste in se stessa è di per sé evidente, perché il predicato s'identifica col soggetto; Dio infatti, come vedremo in seguito, è il suo stesso essere: ma siccome noi ignoriamo l'essenza di Dio, per noi non è evidente, ma necessita di essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a noi più note, ancorché di per sé siano meno evidenti, cioè mediante gli effetti.
Come si vede è un procedimento rigoroso e razionale di procedere che è usabile e comprensibile a chiunque voglia usare il dono della Ragione per conoscere la Verità e il senso della sua vita. Questo metodo rigoroso che caratterizza la Scolastica purtroppo si è perso, o meglio si è persa l’abitudine ad usarlo. È molto più facile dire che la Verità non esiste o che ciascuno ha la sua verità e così non impegnarsi in tanti ragionamenti e fare quel che ci pare. Risuonano qui le parole di San Pio X : “Allontanarsi dall’Aquinate … non può essere senza un grave danno”.
San Tommaso d’Aquino rappresenta uno dei principali pilastri teologici della Chiesa cattolica, ma, per il suo metodo di lavoro e per la sua apertura mentale, è punto di riferimento anche per pensatori contemporanei (teologi e filosofi) non di fede cattolica.
Una fondamentale sua caratteristica è la capacità di leggere in modo sempre rispettoso e sempre nuovo anche questioni della filosofia classica, con riferimenti a maestri come Socrate, Platone, Aristotele, ma anche ai loro commentatori successivi, sia tardo antichi, sia ebrei, sia musulmani. La luce della fede, collocata nel giusto rapporto con quella della ragione, nonché la profonda conoscenza della Bibbia e dei Padri della Chiesa ne fanno un maestro per tutti i tempi.

La “Summa theologiae” e le sue parti:

Prima parte: Metafisica e Antropologia
Nella “questiones” 2 – 43 considera Dio in se stesso come uno e trino.
Nella “questiones” 44 - 102 considera Dio in quanto principio delle cose, cioè in quanto creatore.
Nella “questiones” 103 - 119 considera Dio come principio del governo delle cose in quanto è provvidenza.
Seconda parte: l’Etica
Nelle “questiones” 1 - 5 considera Dio come beatitudine dell’uomo e ne determina la morale (dell’uomo).
Nelle “questiones” 6 – 21 considera gli atti umani buoni in quanto utili al raggiungimento del fine dell’uomo e atti umani cattivi in quanto ostacolano il raggiungimento del fine (Dio come beatitudine dell’uomo).
Nelle “questiones” 22 – 48 considera gli atti umani in relazione con le passioni dell’uomo.
Nelle “questiones” 49 – 89 considera gli atti umani in relazione con i principi dell’agire, che sono le virtù e i vizi.
Nelle “questiones” 90 – 108 considera gli atti umani in relazione con la legge morale e la grazia.
Seguono 189 “questiones” dedicate alle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità e alle virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e i connessi doni dello Spirito Santo.
Terza parte: Cristologia
Considera Gesù Cristo l’unica via per giungere alla beatitudine.
Nelle “questiones” 1 – 26 è trattata l’incarnazione del verbo
Nelle “questiones” 27 - 59 è trattata la vita terrena di Gesù
Nelle “questiones” 60 - 65 sono trattati i sacramenti come mezzi per giungere alla salvezza.
Nelle “questiones” 66 - 90 sono trattati il Battesimo, l’Eucarestia e la Penitenza.
La “Summa” è un monumento alla ragione e alla fede: alla capacità della ragione di esplorare i contenuti della fede; e alla capacità della fede di illuminare il reale e di rendere ragione del senso del reale. È il testo capitale della nostra fede e della nostra cultura. Ferocemente attaccato da tutte le ideologie anticristiane, ma pietra miliare e testo di riferimento per il Concilio Vaticano II , per il beato Paolo VI , per  San Giovanni Paolo II , per tutte le opere del papa emerito Benedetto XVI  e del suo successore papa Francesco. (Vedi anche : Giuseppe Barzaghi “La Somma Teologica si  S. Tommaso in un soffio” ed. ESD – efficacissimo e comprensibile volumetto di 32 pagine).

“Tommaso d’Aquino” catechesi di Benedetto XVI  

dall’Udienza Generale del 2 giugno 2010

“Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia”.

Tommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la famiglia possedeva a
Roccasecca di Aquinio, nei pressi dell’Abbazia di Montecassino dove fu inviato
per la sua prima istruzione. Successivamente si recò a Napoli, dove vi era una già celebre università, fondata da Federico II, ove - ha detto il Papa - “veniva
insegnato, senza limitazioni, il pensiero del filosofo greco Aristotele, al quale il
giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì il grande valore”. E fu anche a Napoli che spuntò la sua vocazione domenicana.
Vocazione avversata dalla sua famiglia che lo costrinse temporaneamente a lasciare il convento, ma nel 1245, con la maggiore età, “poté riprendere il cammino in risposta alla chiamata di Dio”. Fu inviato a Parigi – ha detto il Papa - per studiare teologia sotto la guida di un altro santo, Alberto Magno, sul quale ho parlato recentemente. Alberto e Tommaso strinsero una vera e profonda amicizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, dove egli era stato inviato dai Superiori dell’Ordine a fondare uno studio teologico.
Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e dei suoi commentatori arabi, che Alberto illustrava e spiegava. In quel periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata dall’incontro con le opere di Aristotele, che erano rimaste ignote per molto tempo.

Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno – ha ricordato Benedetto XVI - svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e
della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo Aristotele e i suoi
interpreti, procurandosi nuove traduzioni latine dei testi originali in greco.


In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.

Per le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu richiamato a Parigi come
professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò anche la sua
produzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha del prodigioso:
commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di Aristotele, opere sistematiche poderose, tra cui eccelle la Summa Theologiae, trattati e discorsi su vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni segretari, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, che lo seguì fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, caratterizzata da una grande confidenza e fiducia.
Il Pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima, gli commissionò la
composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini , che celebriamo domani, istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, probabilmente, dirigeva uno Studium.
Nel 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di insegnamento. Gli
studenti - si può capire - erano entusiasti delle sue lezioni. Un suo ex-allievo
dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva i corsi di
Tommaso, tanto che le aule riuscivano a stento a contenerli e aggiungeva, con
un’annotazione personale, che "ascoltarlo era per lui una felicità profonda".
L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era accettata da tutti, ma persino i suoi avversari in campo accademico, come Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso era superiore ad altre per utilità e valore e serviva da correttivo a quelle di tutti gli altri dottori.
Gli ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa direi. Nel dicembre del 1273 chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comunicargli la decisione di interrompere ogni lavoro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso, in seguito a una rivelazione soprannaturale, che quanto aveva scritto fino ad
allora era solo "un mucchio di paglia…”.

La vita e l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino – ha detto Papa Benedetto - concludendo la catechesi - si potrebbero riassumere in un episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito, era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella Cappella di San Nicola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: "Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Quale sarà la tua ricompensa?". E la risposta che Tommaso diede è quella che anche noi, amici e discepoli di Gesù, vorremmo sempre dirgli: “Nient’altro che Te, Signore!"
Nel gennaio del 1274 papa Gregorio X  gli ordinò di presenziare al II  Concilio di Lione , per verificare in cosa consistessero le divergenze tra la Chiesa latina e quella greca, e se fosse possibile appianarle; Tommaso, anche se non in buone condizioni di salute, si mise in viaggio. Durante il tragitto si fermò presso il castello di Maenza, da sua nipote Francesca maritata con il conte Annibaldo de Ceccano, signore di Maenza, ma la sua malattia si aggravò. Dal momento che desiderava finire i suoi giorni in un monastero, e non essendo in condizione di raggiungere un convento domenicano, fu portato all'Abbazia cistercense di Fossanova, a poca distanza dal borgo di Priverno, dove, al termine di una malattia durata qualche settimana, morì il 7 marzo 1274. La sua tomba si trova presso il convento des Jacobins a Tolosa, in Francia.



De Ente et Essentia (la Metafisica di San Tommaso)


L'opuscolo filosofico De Ente et Essentia ("Sull'ente e l'essenza") è sempre stato considerato un sintetico compendio della metafisica tomista e per questo ha attirato l'interesse di molti commentatori e studiosi fin dal secolo XIII.
Per quanto riguarda il periodo di composizione dell'opuscolo non vi è dubbio che esso faccia parte degli scritti giovanili di Tommaso. Tolomeo da Lucca afferma che fu scritto a Parigi, nel corso dei primi anni di insegnamento, quando Tommaso non era ancora maestro, ma propriamente Baccelliere Biblico, ossia assistente di cattedra che teneva lezioni e svolgeva un ruolo preciso nelle dispute.
Il motivo della composizione e i destinatari dell'opera possono essere desunti dalla dedica "ad fratres et socios", ai confratelli ed ai compagni di studi. Fu probabilmente scritta per i compagni dell'Ordine che, giunti a Saint Jacques (il convento domenicano presso l'università di Parigi) per gli studi superiori, erano probabilmente spiazzati dalla novità rappresentata dall'uso delle nozioni filosofiche tratte dalla Metafisica di Aristotele.
Seguiamolo in questo suo itinerario.

De Ente et Essentia ("Sull'ente e l'essenza")
E’ l’opuscolo scritto da Tommaso nel quale il filosofo-santo cerca di spiegare ai suoi studenti il concetto di Ente e quello di Essenza e il loro rapporto, per arrivare a dimostrare che la realtà in-segna Dio. E’ composto dal prologo e da 6 capitoli:
Ø  PROLOGO: delinea l’intento dell’opera ed il suo metodo; ovvero come una chiarificazione dei concetti fondamentali della metafisica e del loro uso filosofico si sviluppa per gradi, secondo una propedeuticità che si modella sul modo di procedere della nostra intelligenza: a partire da ciò che le è più noto per giungere a ciò che è meno noto.
Ø  6 CAPITOLI: chiarificano i concetti fondamentali della metafisica ed il loro uso in filosofia

Che cos’è l’ente

Ø  Tommaso chiarisce che il termine è ricavato dal verbo essere, e sta dunque in primo luogo a designare che l’ente è la cosa che possiede l’atto di essere
Ø  L’ente è ciò che è più noto a noi e per questo partiamo da lui. L’ente è l’esistente, ciò che abbiamo di fronte. L’ente è anche una delle prime nozioni del nostro intelletto, come Tommaso ricorda citando Avicenna
Ø  Ente reale: è ciò che è presente nella realtà e che si distingue nelle dieci categorie enumerate da Aristotele (la più importante delle quali è la Sostanza)
Ø  Ente logico: è tutto ciò che viene espresso, tramite copula (è), in una proposizione affermativa senza che alla proposizione debba necessariamente corrispondere qualcosa di reale. Es.: la cecità è nell’occhio. Infatti non esiste la cecità, caso mai esistono occhi che non vedono. La cecità è un concetto astratto, un concetto logico, sta solo nella nostra mente. La cecità è un ente logico.



L’Ente reale e l’essenza


Essenza: dal latino essentia, natura di una cosa. Generalmente denota l’elemento formale costitutivo di una cosa, l’elemento che l’as­segna a una determinata specie e allo stesso tempo la separa da tutte le altre specie.
Generalmente S. Tommaso adopera il termine essenza per indicare ciò che appartiene ne­cessariamente a una cosa, e pertanto viene posto nella sua definizione. "L’essenza o na­tura comprende in sé soltanto quel che è in­cluso nella definizione della specie; così umanità abbraccia solo quel che è incluso nella definizione di uomo; solo per questo infatti l’uomo è uomo, e precisamente que­sto indica il termine umanità, quello cioè per cui l’uomo è uomo" (I, q. 3, a. 3). "L’essen­za propriamente è ciò che viene espresso dalla definizione. Ora la definizione com­prende i principi specifici e non quelli indivi­duali. Perciò nelle cose composte di materia e forma l’essenza non significa né la sola forma né la sola materia ma il composto di ma­teria e di forma in universale (ex materia et forma communi), in quanto sono principi della specie" (I, q. 29, a. 2).
Ø  Tommaso si sofferma sull’ente reale, l’unico per il quale ha senso parlare di essenza
Ø  L’essentia è ciò che una cosa è, ciò che fa si che quella cosa sia ciò che è, ovvero la sua quidditas (ciò che risponde alla domanda “quid est?”, “che cos’è?”).
Ø  L’essenza comprende non solo la forma, ma anche la materia o la natura.
Ø  La sola forma caratterizza le cose a sostanza semplice (per es. gli Angeli, sono esseri spirituali e non hanno materia), forma e materia insieme caratterizzano le cose a sostanze composte, giacché comprende tutto ciò che è espresso nella definizione della cosa

Le sostanze composte

Ø  L’essenza delle cose composte è data dalla forma e dalla materia insieme. Per es.: l’uomo è un animale razionale. L’animalità è la materia, la razionalità è la forma (riscontrabile con il comportamento).
Ø  Dall’essenza così intesa si distingue l’essere (esse) o l’atto d’essere (actus essendi), ovvero l’esistenza
La Materia, diceva Aristotele, è il principio per cui la cosa si potesse individuare. Ma allora sono individuabili solo le cose individuali, col rischio di cadere nel nominalismo. Tommaso risponde osservando che la materia che entra nella definizione è quella generica, nel precedente esempio l’animalità o la corporeità. Non entra nella definizione la Materia Signata (designata o ben determinata) cioè quella della persona specifica di cui si parla (il corpo di Socrate piuttosto che quello di Cesare). Tommaso, come Aristotele, riprende il discorso del Genere e della Specie, cioè concetti più generali, e concetti più particolari fino all’individuo.
Ogni ente reale ha una essenza e questa essenza è la potenza. Una essenza da sola non spiega l’esistenza di una determinata cosa. L’essenza è la potenza d’essere, ma non necessariamente l’essere. Es.: se dico cavallo alato la sua essenza è chiara, ma manca l’essere, perché il cavallo alato in natura non esiste, è nella mente dell’uomo, ma non nella realtà. È una pura fantasia è un simbolo. Perché una potenza diventi atto, sappiamo che ci vuole qualcuno o qualcosa che permetta che la potenza si trasformi in atto. Noi tutti siamo delle essenze in atto, la nostra esistenza è reale. Questo vuol dire che c’è bisogno di un ente, necessariamente in atto, che faccia si che le essenze esistano, che dia alle cose l’actus essendi, l’esistenza.



Per “atto d’essere” Tommaso intende l’esistenza, cioè, l’atto grazie al quale le essenze che hanno l’essere solo in potenza di fatto esistano.
1.   Tutti noi abbiamo l’essere, ma non siamo l’essere.
2.   Tutti noi riceviamo l’esistenza, da altro, ma la nostra essenza non necessariamente esiste.
3.   C’è un solo un ente in cui essenza ed esistenza sono la stessa cosa: Dio.
4.   Noi siamo esistenti in atto e abbiamo avuto bisogno che qualcuno ci abbia posto in atto, cioè di un ente in atto che ci abbia posto in atto.
5.   In cima alla piramide ci deve essere qualcuno che non deve aver bisogno di essere messo in atto, perché in Lui essenza ed esistenza sono la stessa cosa: Dio atto puro.
6.   Solo Dio può dire io sono l’essere. Noi possiamo solo dire che abbiamo l’essere (qualcuno ce l’ha dato). Io sono colui che è è la risposta di Dio a Mosè che gli chiede il suo nome, che per un ebreo il nome è l’essenza della persona. Dio è l’essere.
7.   Dio è l’essere, tutte le creature ricevono l’essere.
8.   L’esistenza, nelle creature è in potenza, solo in Dio coincide con la sua essenza

Il mondo e la partecipazione 

Ogni ente in cui si distinguono l’essenza e l’esistenza, ossia ogni realtà che ha l’essere ma non è l’essere, deve per forza aver ricevuto l’essere da altro e precisamente da un essere che, non derivando la propria esistenza da altro, è, esso stesso, l’Essere.

 Dio e la partecipazione

L’aggiunta dell’esistenza all’essenza esige l’intervento creativo di un Essere che avendo l’esistenza per essenza risulti in grado di farne partecipi altri esseri.
Tale è il caso specifico di Dio secondo la definizione che Egli ha dato di sé nell’Esodo (Ego sum qui sum, “Io sono colui che sono”).
 “Non è necessario che esista io, non è necessario che esistiate voi. Dio invece deve esistere, perché altrimenti null’altro potrebbe esistere. Difficilmente potreste dubitare della vostra esistenza: sarebbe contro il principio di contraddizione. Se, infatti, non esisteste, come potreste dubitare di qualcosa? Voi esistete dunque, ma la vostra esistenza non è autonoma. L’avete ricevuta da genitori e antenati, dall’aria che respirate, dai cibi e dalle bevande che prendete. I fiumi hanno ricevuto anch’essi l’esistenza, e così i monti, la terra stessa e tutto il resto dell’Universo. Ora se l’Universo intero è un sistema di ricevitori di esistenza, ci deve essere anche un datore. E se a sua volta questo datore avesse ricevuto l’esistenza non sarebbe il datore, ma un altro di quelli che ricevono. Dunque, il primo datore deve possedere un’esistenza autonoma. Dev’essere esistenza. Questo datore noi chiamiamo Dio. Potete contraddire?” (san Tommaso d’Aquino).

Creazione

Ø  La creazione dunque consiste nell’aggiunta dell’esistenza all’essenza, cioè nell’atto in cui le essenze, passando dalla potenza all’atto, esistono realmente.
Ø  Essa implica Partecipazione e Analogia

Partecipazione e Analogia

Ø  Dio creando, rende le creature partecipi dell’essere
Ø  Dio è l’essere, le cose ricevono da Lui l’essere
Ø  Io che esisto partecipo all’essere, ma non sono l’essere
Ø  C’è un rapporto di analogia tra l’essere necessario (Dio) e gli esseri contingenti (noi e le cose)
Ø  Tommaso teorizza la diversità pur nella somiglianza (no al panteismo)

L’idea di Segno

L’idea di segno ha un ruolo fondamentale nella cultura medievale:
Ø  “L’uomo medievale vede simboli in ogni dove. Per lui l’esistenza non è fatta di elementi, di energie e di leggi, ma di forme. Le forme significano se stesse, ma al di sopra di sé indicano qualcosa di diverso, di più alto, ed infine l’altezza in se stessa, Dio e le cose eterne. Perciò ogni forma diviene un simbolo e dirige gli sguardi verso ciò che la supera. Si potrebbe anche, e più esattamente, dire che essa promana da qualche cosa di più alto, che sta al di là.”
Il Segno
Ø  Una cosa che si vede e si tocca e che nel vederla e toccarla mi muove verso altro, come si chiama? Segno. Il segno quindi è una esperienza reale che mi rimanda ad altro. Il segno è una realtà il cui senso è un’altra realtà.
Ø  “Se nell’impatto con l’uomo il mondo funziona come un segno, dobbiamo dire che il mondo dimostra qualcosa d’Altro, dimostra Dio come un segno dimostra ciò di cui è segno”.
La Realtà come segno
Ø  Dante stesso, scrivendo la Commedia, ha ben presente che la realtà è segno di Dio:
“Le cose tutte quante hanno ordine tra di loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa somigliante. Qui veggion l’alte creature l’orma dell’etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma.”
PARAFRASI: Tutte le cose create sono ordinate fra loro, in modo da costituire un tutto armonico, e questo ordine è la forma, il principio essenziale, che rende l’universo simile a Dio. In questo ordine dell’universo creato, le creature superiori riconoscono il segno della potenza e sapienza del Creatore, il quale è il fine ultimo da cui si genera e a cui tende l’ordine sopraccennato.
Ø  Dalla realtà, che non esaurisce il suo significato in se stessa, l’uomo può risalire all’esistenza di Dio con la propria ragio

Ø  Tommaso stesso dice: “Non possiamo conoscere Dio scorgendone l’essenza, ma solo in base al tessuto dell’universo. Dio ci ha posto davanti agli occhi la somma delle creature, affinché Lo riconosciamo in esse: l’universo, infatti, è col suo ordine quasi un ritratto e ha una debole somiglianza con la natura divina che ne è modello e archetipo.”

Conclusione

Ø  E’ necessaria l’esistenza di Dio
Ø  La realtà è segno di Dio
Ø  La creazione è una comunicazione d’Essere

Le sostanze semplici

Consideriamo ora le sostanze semplici, sostanze che sono pura forma. Tommaso rifiuta l’Ilemorfismo.
Con la denominazione di “ilemorfismo universale” è stata indicata, nella Scolastica Medievale, la dottrina secondo cui tutte le realtà create sono composte da una unica forma e una unica materia. Padre di questo pensiero è il filosofo ebraico vissuto in Spagna conosciuto ai latini come Avicébron. Molto semplicemente si pensava che anche gli Angeli, purissimi spiriti, avessero una materia: materia spiritualis.
Per Tommaso invece gli angeli, come l’intelligenza, la bellezza, sono pura forma, e se sono pura forma sono semplici. Ma nonostante non abbiano una materia hanno una composizione, quella fra Essenza e Esistenza. Quindi anche le sostanze semplici hanno l’Essenza che poi  Dio fa essere in atto, cioè le fa esistere. L’Esistenza è qualcosa che si aggiunge per intervento divino. Anche gli angeli debbono dire che hanno l’essere, ma non sono l’essere. Essi partecipano dell’essere, prendono parte all’essere, tramite l’atto con cui Dio li fa esistere. Solo in Dio coesistono essere ed essenza.

L’essere in ANALOGIA con Dio

Tutto ciò che è è nell’essere, in Dio essenza ed essere cono la stessa cosa, in noi non sono la stessa cosa ma convivono perché Dio ci aggiunge l’essere con un suo atto creatore. Posso dire che io, come Dio esisto, ma in me l’essenza e l’essere sono disgiunti e uniti con un atto di Dio. Tommaso dirà che noi siamo l’essere in analogia con Dio, ma non proprio come Dio. Io ci sono, come c’è Dio, ma in me l’esistenza l’ha messa Dio. Tutto parte dal concetto base di tutta la filosofia realista che afferma  che il pensiero rispecchia la realtà.

Importanza della Ragione

Per capire meglio la portata del pensiero di San Tommaso, vale la pena di leggere quanto secoli dopo dirà Hegel:
“La capacità di levarsi sopra il sensibile, sopra il fenomeno, cioè quello che puoi vedere e toccare, è propriamente ciò che noi chiamiamo pensiero. Se non facciamo questo non si può dire propriamente che pensiamo. Il pensiero così definito è ciò che ci differenzia dall’animale. L’animale infatti non va oltre le sensazioni e l’intuizione del sensibile, ed è per questo che l’animale non ha religione”.
(Georg Wilhelm Friedrich Hegel - Stoccarda, 1770  Berlino,  1831)
Torniamo quindi sul discorso che Dio può essere conosciuto dalla ragione. L’esistenza di Dio e gli attributi di Dio non sono propriamente oggetti di fede (di qualunque religione), così come alcuni aspetti di come è fatto Dio. Sono implicitamente contenuti nella Divina Rivelazione. Se Dio si rivela vuol anche dire che Dio esiste. Ma questo comunque è materia della ragione. È la ragione che capisce che Dio esiste (non crede, ma capisce).
San Tommaso spiega che l’esistenza di Dio non è a noi evidente di per se stessa, per il fatto che non è raggiungibile dai sensi. Niente ci può essere dentro la nostra testa, cioè pensabile da noi, se prima non è passato attraverso i sensi (Aristotele). Non può cioè passare da solo, ma ha bisogno di essere traghettato nella nostra mente attraverso le cose, attraverso la realtà che ci circonda.
Grazie alla realtà riconosciuta attraverso un esercizio rigoroso della ragione e un altrettanto rigoroso esercizio di astrazione, noi capiamo che Dio esiste. Come avviene questo processo? Avviene così: noi constatiamo un fatto nella realtà e che questo fatto non rende ragione della nostra esistenza, la cosa non si spiega da sé. Dunque dimostrato che questa cosa non si spiega da sé, concludiamo che deve esserci, fuori dal mondo dell’esperienza, una realtà che non può essere raccolta dai sensi, ma che è esigita, cioè se ne richiede l’esistenza, a motivo del fatto che la realtà, colta dai nostri sensi, non si spiega da sé, non rende ragione della propria esistenza.
Si arriva allora a capire che fuori dal mondo della propria esperienza deve esistere un realtà che tutti chiamano Dio, che rende ragione dell’esistenza stessa del mondo, mondo che non ha in sé la ragione della propria esistenza.
Partendo da questa considerazione capiamo allora lo scopo delle famose cinque vie di San Tommaso, cioè cinque vie che offrono una via rigorosa alla ragione che parte dalla realtà che concepisce e capisce l’esistenza di Dio.

Le cinque vie del dottore angelico

Le cinque vie sono gli argomenti cosmologici con cui San Tommaso  d'Aquino "prova" L’esistenza di Dio. Tommaso non dimostra il Cristianesimo, ma mette la ragione al servizio della fede dimostrando la ragionevolezza del credere, anche se questo è essenzialmente un dono della grazia.
Secondo Tommaso l'esistenza di Dio non può essere provata a priori come affermava Sant'Anselmo d'Aosta : per accettare l'argomento ontologico dovremmo conoscere l'essenza di Dio, il che, in questa vita, non si dà. Rimangono valide le prove a posteriori, che Tommaso sintetizza in cinque vie che portano all'esistenza di Dio.
Una versione sintetica di questi argomenti è presente nella Summa Theologiae, mentre se ne può trovare una discussione più approfondita, anche se solo di alcuni, nella Summa contra Gentiles.
I richiami teoretici sono: per le prime due vie ad Aristotele (con correzioni anche notevoli), per la terza ad Avicenna, per le ultime due ad Agostino ed al platonismo, per la quinta anche a Socrate.
Proponendo queste vie, Tommaso intende mostrare la stringente ragionevolezza di pensare ad un fondamento metafisico del mondo - il cui stesso essere non dipende da sé, non trova in sé la propria giustificazione -, ma esplicita anche chiaramente che non si tratta affatto di tentare di dimostrare il Cristianesimo: la Redenzione, in quanto fatto storico, non può essere razionalmente dimostrata, ma va conosciuta mediante un opportuno ed attento studio delle fonti, in sostanza della Bibbia; lì si potranno riscontare i motivi di ragionevolezza del credere, anche se la decisione ultima sarà sempre lasciata alla libera volontà di accettare o meno la Rivelazione, ed anche se il credere risulterà, alla fine, essenzialmente un dono della grazia.
Come osservazione comune a tutte le vie, si noti che Tommaso muove sempre le sue considerazioni da qualcosa che sia empiricamente osservabile: un ente che muta, un ente che si genera, ecc.

Prima via: il moto o cambiamento (Ex Moto)

La prima via è la più rigorosa e parte dall'osservazione del movimento. Nel mondo noi osserviamo che le cose, cioè la realtà che ci circonda e noi stessi viviamo una continua trasformazione, un continuo mutamento. In questo momento noi non siamo più gli stessi di ieri perché il nostro fisico e la nostra mente nel frattempo si sono evoluti, cioè sia il nostro corpo che le nostre funzioni intellettuali hanno elaborato cose che sono diverse da quelle di ieri e questo comporta un diverso modo di agire e di pensare rispetto a quello di ieri. Ma anche la realtà che ci circonda cambia continuamente. Il crescere di una pianta, come l’evolversi della nostra intelligenza, l’apprendimento nell’ascolto, la nostra emotività nello scambio delle relazioni umane, tutto questo è mutamento, cioè una grande fabbrica di continui e macroscopici e microscopici mutamenti. Il filosofo però va oltre il fenomeno e si domanda quali sono i meccanismi, come funziona questa cosa? Da dove viene questa prodigalità di energie. Il dottore angelico, cioè Tommaso, ci suggerisce di riportare (sempre) le cose grandi a quelle più piccole, più semplici, più familiari, più vicine a noi perché così ce le fanno capire.
Prendiamo per esempio un pentolino pieno di acqua fredda. Lo mettiamo sul gas perché si scaldi volendo noi farci un bel thé. Abbiamo provocato un mutamento, l’acqua passa dal freddo al caldo. Questo perché l’acqua fredda è fredda in atto, ma ha la possibilità di diventare calda, cioè è calda in potenza.
Cioè l’acqua ha la possibilità di passare dall’essere in potenza calda, all’atto di essere calda davvero. Come avviene il passaggio dal freddo al caldo, cioè il passaggio dalla potenza all’atto? Solo in virtù di una cosa che è già in atto, cioè del fuoco che già possiede il calore. L’acqua fredda pur essendo in potenza calda non poteva diventare calda se non grazie a chi il calore lo possiede già in atto, il fuoco. Il fuoco, calore in atto, comunica all’acqua, calda solo in potenza, quello che le serve per passare dalla potenza all’atto, di essere cioè pure lei calda. Morale non è possibile passare dalla potenza all’atto se non c’è qualcosa che provoca questo mutamento, qualcosa che ha già di per sè l’atto che serve per provocare il cambiamento. L’acqua non ha in se la capacità di mutarsi, ha bisogna di una potenza in atto esterna.
Domandiamoci ora, ciò che ci ha fatto passare dalla potenza all’atto a sua volta come ci è passato dalla potenza all’atto? Tommaso, sulla scia di Aristotele spiega questo così “tutto ciò che muta ha bisogno di un principio per il proprio mutamento, Il passaggio dalla potenza all’atto avviene in virtù di una cosa che è già in atto, tutto ciò che si muove, si muove perché è mosso da altro”. Ma anche l’altro è a sua volta mosso da chi è in grado di provocare il mutamento, cioè di farlo passare dalla potenza all’atto. Nella nostra esperienza non troviamo nulla che ci possa spiegare cosa sta all’origine di questa catena di mutamenti che andando a ritroso sembra perdersi nell’infinito. Chi riesce a far passare dalla potenza all’atto qualcosa, senza aver bisogno a sua volta di una potenza in atto?
È quindi più che necessario che esista una realtà che sia all’origine di tutti i mutamenti, del divenire, delle trasformazioni che ci sono nel mondo senza essere essa stessa soggetto di queste trasformazioni. Ma nella nostra esperienza una realtà così non c’è. Il mondo non ha in se la ragione del proprio mutamento. Noi questa ragione la dobbiamo postulare, pur non vedendola, perché questo ce lo esige ciò che noi constatiamo nei fenomeni della realtà.  Una realtà cioè che sia una sorgente, una prodigalità di attività e di vita che sia all’origine di tutta la vita che c’è nel mondo senza che essa abbia bisogno di riceverla da un altro. Questo è ciò che tutti chiamano Dio.
Ragionando sulla realtà si arriva a capire che esiste al di fuori della propria esperienza una realtà che tutti chiamano Dio, che rende ragione dell’esistenza stessa del mondo, e che il mondo non ha in se.
Riassumendo. Se osservo un qualsiasi mutamento, devo necessariamente presupporre un motore, cioè un agente che abbia originato il mutamento; tale motore, per muovere, deve essere in atto, poiché ciò che è in potenza non agisce di fatto, ma soltanto può farlo; ora ci sono due possibilità: o quel motore è sempre in atto, ed è Dio, o ha avuto bisogno di un ulteriore motore che lo portasse dalla potenza all'atto affinché potesse muovere; in questo secondo caso, il motore responsabile del primo movimento (indipendentemente da quanti siano i motori intermedi) dovrà per forza essere sempre in atto, altrimenti non lo sarebbe nessuno degli altri motori, ed io non osserverei nessun mutamento. Ed anche se i motori in potenza fossero infiniti, resta il fatto che non potrebbero, essendo tutti in potenza appunto, produrre una sola cosa in atto. Ma siamo partiti proprio dal fatto che un qualche movimento in atto si dà ed è osservabile. Il primo motore che, essendo immobile e sempre in atto, pone in attività i motori successivi è ciò che chiamiamo Dio.


In sintesi:

1.     è evidente che in questo mondo le cose si muovono,
2.     muovere è far passare qualcosa dalla Potenza all’Atto,
3.     dunque è necessario pervenire ad un primo immobile,
4.     che muova e non sia mosso  da nessuno,
5.     che tutti ritengono naturale essere Dio

Seconda via: la causalità efficiente (Ex Causa)

La seconda via parte dalla causalità efficiente: si procede in modo analogo al precedente, applicando il procedimento al fatto che osservo l'esistenza di realtà che non si spiegano da sé, ma sono effetto di qualcos'altro; anche in questo caso deve esistere una causa efficiente prima, che chiamiamo Dio, altrimenti ogni effetto sarebbe solo una possibilità, mai niente di reale (attuale).
Si noti, qui, che Tommaso usa sì termini e concetti aristotelici, ma procede molto oltre Aristotele stesso, in quanto lo Stagirita non ammetteva che Dio fosse causa efficiente (causa che produce un effetto) del mondo, ma sosteneva che ne fosse solo causa finale. In sintesi:

1.     è evidente che ci sono cose che cominciano ad esistere,
2.     bisogna allora ammettere una prima Causa Efficiente incausata,
3.     solo Dio è ragione di sé e causa di tutto ciò che è distinto da sé.

Terza via: contingenza e necessità

(Ex Possibili et Necessarium)

La terza via parte dalla riflessione sulla contingenza: l'esperienza ci attesta che esistono cose che possono essere come non essere, cioè sono contingenti, ossia sono tali che la loro essenza non comprende l'esistenza; ma cose siffatte talvolta sono talvolta no; posta la domanda se ogni cosa sia contingente o se esista qualcosa di necessario, dobbiamo escludere la prima ipotesi: infatti, se tutto fosse contingente, sarebbe inevitabilmente capitato, in passato, un momento in cui tutto non era; il che è falso perché altrimenti ora non ci sarebbe niente; dunque, deve esistere qualcosa di necessario, ossia qualcosa la cui essenza comprenda l'esistenza: tale cosa tutti chiamano Dio.
Il discorso, naturalmente, non vuole dimostrare che il mondo sia eterno. Anzi, i cristiani sanno che la creazione implica un inizio temporale dell'universo. L'intento di Tommaso, qui, è solo di mostrare la ragionevolezza dell'esistenza di Dio. In sintesi:

1.     È evidente, che tutto ciò che compone la realtà sensibile è corruttibile,
2.     quindi la realtà non può avere in sé la ragione della propria esistenza,
3.     deve dipendere da un altro la cui essenza sia il suo stesso atto d’essere.
4.     Questo Necessario è Dio.


Quarta via: i gradi dell'essere (Ex Gradu Perfectionis)
La quarta via riflette sui gradi di perfezione: se possiamo osservare, nel mondo, cose con una "perfezione" (qualità, potremmo dire) posseduta in grado più o meno elevato (ad esempio: cose più o meno buone), dobbiamo ammettere l'esistenza di quella perfezione ad un livello massimo (la bontà assoluta, nel nostro esempio); tale livello assoluto di perfezione, richiesto dal relativo che noi vediamo, è normalmente chiamato Dio. In sintesi:

1.     È evidente, che nella realtà ci sono diversi gradi di perfezione.
2.     La perfezione pura è invece tutta e solo se stessa, senza aumenti o diminuzioni.
3.     Le cose non perfette non possiedono la perfezione assoluta,
4.     non possono darsela e per averla devono riceverla dalla perfezione stessa,
5.     cioè Dio, perfezione delle perfezioni.

Quinta via: finalità o ordine del mondo (Ex Fine)

La quinta via parte dalla considerazione che oggetti naturali non dotati di volontà agiscono in modo ordinato e finalizzato (vegetali, animali, astri, ecc. cosa su cui, come è facile notare, si rende possibile la costruzione della scienza); il che richiede che un essere intelligente abbia dato razionalità al cosmo: quest'essere è quello che chiamiamo Dio. Riassumendo:

1.     È evidente, che ogni ente agisce in vista di un fine, senza uno scopo tutto resterebbe inerte.
2.     Il finalismo di cose e persone deve farsi risalire al pensiero Assoluto.
3.     Tale  Pensiero Assoluto è Dio, suprema sintesi di Pensiero-Essere ed Essere-Pensiero,
4.     cioè Essere Sussistente.

L’essere è la più perfetta di tutte le cose


L’essere conosciuto in Dio è partecipato negli enti, cioè nelle cose, nelle persone, in me, in ciò che esiste. Che cosa ci spiega la filosofia di san Tommaso sull’ente, sulle perfezioni dell’ente. Abbiamo visto che l’uomo con la ragione conosce Dio e lo conosce come esistente, ma conosce anche le perfezioni delle cose che ci circondano. Fra tutte le cose l’essere è la più perfetta. È la sede di tutte le perfezioni. Ciò che chiamo l’essere è l’attualità di tutti gli atti, di tutte le possibilità che vengono attuate, quindi le perfezioni, e quindi è la perfezione di tutte le perfezioni.



Quali sono queste perfezioni? Sono caratteri che qualificano l’essere in quanto tali e che per ciò stesso competono ad ogni ente. Ogni ente, io, il mio gatto, la pianta del mio giardino, il sasso lungo la strada, la luna, ecc. l’ente in quanto ente ha queste perfezioni: UNUM, VERUM, BONUM.

·         UNUM: ogni cosa in quanto esistente è una, cioè si oppone alla divisione, è se stessa
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·         VERUM: in quanto è se stessa è vera, è corrispondente alla sua essenza, è la verità di se stessa

·         BONUM: per questo è buona, cioè corrisponde alla propria natura e alla propria finalità. È desiderabile. Infatti ciascuno di noi desidera talmente se stesso, concepisce la desiderabilità di se stesso che vuole perseverare nell’essere.

Tutti gli enti oppongono una certa resistenza, tanté che anche un sasso per poterlo spaccare dobbiamo dargli delle martellate, oppure una resistenza a perdere la propria identità, la propria verità e quindi la propria desiderabilità.

·         PULCRUM: La sintesi di queste tre proprietà dell’ente in quanto ente è il pulctrum, cioè quanto una cosa è unica, vera e buona è in estrema sintesi bella. La realtà è bella, l’essere è bello. C’è una bellezza in tutto ciò che esiste in quanto esiste.

Programma della seconda Tappa: 
I Lumi del Medioevo

·         2t-6-San Tommaso d'Aquino (1)
·         2t-7-San Tommaso d'Aquino (2)




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