San
Tommaso doctor angelicus
San Tommaso d’Aquino
è discepolo di Alberto Magno, un pensatore che per l’epoca era un progressista,
perché molto aperto alla filosofia di Aristotele recentemente arrivata, seppur
in grande ritardo, in Europa. Per Alberto questa era l’opera più perfetta a cui
la ragione ha potuto arrivare. La ragione per lui era identificata con
Aristotele. Tanto che san Tommaso quando parlerà di Aristotele lo chiamerà
semplicemente “il filosofo”, cioè il filosofo per eccellenza lontanissimo dagli
altri, perché rappresenta la Ragione, la ricerca razionale, la speculazione
razionale, insomma come deve essere la filosofia.
Non fu però una cosa
facile, perché l’influenza di Platone, già conosciuto da tempo, era
profondamente radicata e facilmente utilizzata a sostegno del cristianesimo
grazie specialmente a sant’Agostino, chiamato anche il Platone cristiano.
Tommaso di contro fu
chiamato l’Aristotele cristiano perché, con maggiori difficoltà che per Platone,
riuscì a leggere, penetrare e spiegare i
misteri della religione cristiana con le categorie concettuali di Aristotele.
Se la Ragione è incarnata dalla filosofia aristotelica e se la Ragione è un
dono di Dio, non può essere in contrasto con la Fede che è anch’essa un dono di
Dio.
« Ciò che si
accetta per fede sulla base della rivelazione divina non può essere contrario
alla conoscenza naturale... Dio non può indurre nell'uomo un'opinione o una
fede contro la conoscenza naturale... tutti gli argomenti contro la fede non
procedono rettamente dai primi principii per sé noti. »
|
(Tommaso
d'Aquino, Summa contra Gentiles,
I, 7.)
|
Con Tommaso Fede e
Ragione avranno un ruolo essenziale, ma con una soluzione originalissima:
Tommaso
è quindi lontanissimo da Tertuliano “credo qui absurdum” che metteva la Fede
così al di sopra della Ragione da considerare ogni ragionamento o filosofia
fonte solo di errori. Ma è lontano anche dalla visione agostiniana dove Fede e
Ragione sono sempre fortemente unite, l’Uomo conosce con la Ragione aiutata
dalla Fede e con la Fede aiutata dalla Ragione. Credo per capire, capisco per credere.
Tommaso
dice invece un’altra cosa:
la Ragione è autonoma, nel senso che può
attingere delle verità indipendentemente dalla Fede, proprio perché è nella
natura dell’Uomo usare la Ragione. Nella “Summa Contra Gentiles” dice:
Che Dio esiste è una
Verità di Ragione, cioè ci si arriva con la Ragione e non è necessaria la Fede,
come ha fatto per esempio Aristotele. Cioè si può arrivare a Dio con le sole
forze della nostra Ragione naturale.
Quando noi dobbiamo
difendere la credibilità della Fede “Contra Gentiles”, dobbiamo partire da ciò
che ci accomuna con i non credenti, cioè la Ragione.
La Ragione è comune
ad ogni essere umano e ci sono Verità alle quali possiamo arrivare con la sola
ragione (senza l’aiuto della Fede).
La Ragione è utile
alla Fede in diversi modi:
ci sono delle Verità
che son “preambula fidei”, cioè dei punti di partenza dai quali poi si potrà accedere
alla Fede. La Ragione ci aiuta a capire che Dio esiste e quando siamo convinti
che Dio esiste si è più disposti ad accettare una sua Rivelazione. Cioè capire
chi Egli è davvero, la sua natura, la sua essenza, ecc.
la Ragione inoltre
ci aiuta a combattere e controbattere le tesi contrarie alla Fede e darle
credibilità.
Inoltre, posto che
la Ragione è autonoma, posto che la Ragione arriva da sola a mostrare i
preamboli della Fede, posto che la Ragione ci aiuta a controbattere le tesi
contrarie alla Fede, Tommaso ci dice che però la parola ultima la dà sempre la
Fede. In altre parole la Fede è regola della Ragione, perché se la Ragione
arriva ad una considerazione contraria alla Fede ha ragione la Fede e non la
Ragione, nel senso che sicuramente sarà stato un passaggio del ragionamento che è uscito di
strada.
La Ragione è così
autonoma e indipendente che per esempio per dimostrare che Dio esiste si può
avvalere da diverse vie o ragionamenti per dimostrarlo. Tommaso ne individua
fino a 5. A dimostrare anche che non è poi così difficile arrivare a Dio con la
Ragione. La Ragione ci fa arrivare all’esistenza di Dio, la Fede ci dice chi
Dio è. Cioè la Fede nella rivelazione divina ci dice chi è realmente Dio.
La summa theologiae
È estremamente
interessante vedere come Tommaso argomentava le sue Tesi in questa sua opera
maggiore, ma prima un breve approfondimento.
La Summa Theologiae è la più famosa delle opere di Tommaso
d'Aquino. Fu scritta negli anni 1265–1274, negli
ultimi anni di vita dell'autore. La terza e ultima parte rimase incompiuta.
È il
trattato più famoso della teologia medioevale, e la
sua influenza sulla filosofia e sulla teologia posteriore, soprattutto nel cattolicesimo, è
incalcolabile.
Tommaso
la scrive tenendo presenti le fonti propriamente religiose, cioè la Bibbia e i dogmi della chiesa
cattolica, ma anche le opere di alcuni autori dell'antichità. Per Tommaso, Aristotele è l'autorità massima in campo filosofico, e Agostino di Ippona in campo teologico. Sono citati frequentemente
anche Pietro Lombardo, teologo e autore del
manuale usato all'epoca, gli scritti del secolo V del Pseudo-Dionigi l'Areopagita, Avicenna e Mosè
Maimonide, studioso giudeo non molto anteriore a Tommaso, del quale egli
ammirava l'applicazione del metodo investigativo.
Struttura dell'opera
Scritta
in latino, la Summa è costituita da articoli che hanno tutti
la stessa struttura: una serie di questioni circa il tema trattato, formulate
come domande; ad ogni questione si enunciano anzitutto gli argomenti od
osservazioni che sono contro la tesi proposta (videtur quod,
"sembra che"), poi un argomento decisivo a favore (sed contra,
"ma al contrario"), poi nel corpo principale si sviluppa la risposta
alla questione (respondeo, "rispondo") e infine si contestano,
se necessario, una ad una le obiezioni iniziali ed a volte lo stesso sed contra.
Riportiamo qui come
esempio la Questione 2 della Summa Theologicae:
Questione 2 - Trattato di Dio. Esistenza di Dio
Se sia di per sé evidente che Dio esiste
SEMBRA che sia di per sé evidente che Dio esiste. Infatti:
1. Noi diciamo evidenti di per sé quelle cose, delle quali abbiamo
naturalmente insita la cognizione, com'è dei primi principi. Ora, come assicura
il Damasceno "la conoscenza
dell'esistenza di Dio è in tutti naturalmente insita". Quindi
l'esistenza di Dio è di per sé evidente.
2. Evidente di per sé è ciò che subito s'intende, appena ne abbiamo
percepito i termini; e questo Aristotele lo attribuisce ai primi principi della
dimostrazione: conoscendo infatti che cosa è il tutto e che cosa è la parte,
subito s'intende che il tutto è maggiore della sua parte. Ora, inteso che cosa
significhi la parola Dio, all'istante si capisce che Dio esiste. Si indica
infatti con questo nome un essere di cui non si può indicare uno maggiore: ora
è maggiore ciò che esiste al tempo stesso nella mente e nella realtà che quanto
esiste soltanto nella mente: onde, siccome appena si è inteso questo nome Dio,
subito viene alla nostra mente (di concepire) la sua esistenza, ne segue che
esista anche nella realtà. Dunque che Dio esista è di per sé evidente.
3. È di per sé evidente che esiste la verità; perché chi nega
esistere la verità, ammette che esiste una verità; infatti se la verità non
esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualche cosa di vero,
bisogna che esista la verità. Ora, Iddio è la Verità. "Io sono la via, la verità e la vita". Dunque che Dio
esista è di per sé evidente.
IN
CONTRARIO: Nessuno può pensare
l'opposto di ciò che è di per sé evidente, come spiega Aristotele riguardo ai
primi principi della dimostrazione. Ora, si può pensare l'opposto dell'enunciato:
Dio esiste, secondo il detto del Salmo: "Lo stolto dice in cuor suo "Iddio non c'è"". Dunque che Dio
esista non è di per sé evidente.
RISPONDO: Una cosa può essere di per sé evidente in due maniere:
primo, in se stessa, ma non per noi; secondo, in se stessa e anche per noi. E
invero, una proposizione è di per sé evidente dal fatto che il predicato è
incluso nella nozione del soggetto, come questa: l'uomo é un animale; infatti
animale fa parte della nozione stessa di uomo. Se dunque è a tutti nota la natura
del predicato e del soggetto, la proposizione risultante sarà per tutti
evidente, come avviene nei primi principi di dimostrazione, i cui termini sono
nozioni comuni che nessuno può ignorare, come ente e non ente, il tutto e la
parte, ecc. Ma se per qualcuno rimane sconosciuta la natura del predicato e del
soggetto, la proposizione sarà evidente in se stessa, non già per coloro che
ignorano il predicato ed il soggetto della proposizione. E così accade, come
nota Boezio, che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti,
questo, p. es.: "le cose immateriali non occupano uno spazio".
Dico dunque che questa
proposizione Dio esiste in se stessa è di per sé evidente, perché il predicato
s'identifica col soggetto; Dio infatti, come vedremo in seguito, è il suo
stesso essere: ma siccome noi ignoriamo l'essenza di Dio, per noi non è
evidente, ma necessita di essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a
noi più note, ancorché di per sé siano meno evidenti, cioè mediante gli
effetti.
Come si vede è un
procedimento rigoroso e razionale di procedere che è usabile e comprensibile a
chiunque voglia usare il dono della Ragione per conoscere la Verità e il senso
della sua vita. Questo metodo rigoroso che caratterizza la Scolastica purtroppo
si è perso, o meglio si è persa l’abitudine ad usarlo. È molto più facile dire
che la Verità non esiste o che ciascuno ha la sua verità e così non impegnarsi
in tanti ragionamenti e fare quel che ci pare. Risuonano qui le parole di San
Pio X : “Allontanarsi dall’Aquinate … non può essere senza un grave danno”.
San Tommaso d’Aquino rappresenta uno
dei principali pilastri teologici della Chiesa cattolica, ma, per il suo metodo di lavoro e
per la sua apertura mentale, è punto di riferimento anche per pensatori
contemporanei (teologi e filosofi) non di fede cattolica.
Una fondamentale sua caratteristica
è la capacità di leggere in modo sempre rispettoso e sempre nuovo anche
questioni della filosofia classica, con riferimenti a maestri come Socrate, Platone, Aristotele, ma anche ai loro commentatori
successivi, sia tardo antichi, sia ebrei, sia musulmani. La luce della fede,
collocata nel giusto rapporto con quella della ragione, nonché la profonda
conoscenza della Bibbia e dei Padri
della Chiesa ne fanno un maestro per tutti i
tempi.
La “Summa theologiae” e le sue parti:
Prima
parte: Metafisica e Antropologia
Nella “questiones” 2 – 43 considera Dio in se stesso come uno e trino.
Nella “questiones” 44 - 102 considera Dio in quanto principio delle cose,
cioè in quanto creatore.
Nella “questiones” 103 - 119 considera Dio come principio del governo
delle cose in quanto è provvidenza.
Seconda
parte: l’Etica
Nelle “questiones” 1 - 5 considera Dio come beatitudine dell’uomo e ne
determina la morale (dell’uomo).
Nelle “questiones” 6 – 21 considera gli atti umani buoni in quanto utili
al raggiungimento del fine dell’uomo e atti umani cattivi in quanto ostacolano
il raggiungimento del fine (Dio come beatitudine dell’uomo).
Nelle “questiones” 22 – 48 considera gli atti umani in relazione con le
passioni dell’uomo.
Nelle “questiones” 49 – 89 considera gli atti umani in relazione con i
principi dell’agire, che sono le virtù e i vizi.
Nelle “questiones” 90 – 108 considera gli atti umani in relazione con la
legge morale e la grazia.
Seguono 189 “questiones” dedicate alle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità
e alle virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e i connessi
doni dello Spirito Santo.
Terza
parte: Cristologia
Considera Gesù Cristo l’unica via
per giungere alla beatitudine.
Nelle “questiones” 1 – 26 è trattata l’incarnazione del verbo
Nelle “questiones” 27 - 59 è trattata la vita terrena di Gesù
Nelle “questiones” 60 - 65 sono trattati i sacramenti come mezzi per
giungere alla salvezza.
Nelle “questiones” 66 - 90 sono trattati il Battesimo, l’Eucarestia e la
Penitenza.
La “Summa” è un monumento alla ragione e alla fede: alla capacità
della ragione di esplorare i contenuti della fede; e alla capacità della fede
di illuminare il reale e di rendere ragione del senso del reale. È il testo
capitale della nostra fede e della nostra cultura. Ferocemente attaccato da
tutte le ideologie anticristiane, ma pietra miliare e testo di riferimento per
il Concilio Vaticano II , per il beato Paolo VI , per San Giovanni Paolo II , per tutte le opere
del papa emerito Benedetto XVI e del suo
successore papa Francesco. (Vedi anche : Giuseppe Barzaghi “La Somma Teologica
si S. Tommaso in un soffio” ed. ESD –
efficacissimo e comprensibile volumetto di 32 pagine).
“Tommaso d’Aquino”
catechesi di Benedetto XVI
dall’Udienza Generale del 2 giugno 2010
“Tommaso d’Aquino mostrò che tra
fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia”.
Tommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la famiglia
possedeva a
Roccasecca di Aquinio, nei pressi dell’Abbazia di Montecassino
dove fu inviato
per la sua prima istruzione. Successivamente si recò a Napoli,
dove vi era una già celebre università, fondata da Federico II, ove - ha detto
il Papa - “veniva
insegnato, senza limitazioni, il pensiero del filosofo greco
Aristotele, al quale il
giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì il grande
valore”. E fu anche a Napoli che spuntò la sua vocazione domenicana.
Vocazione avversata dalla sua famiglia che lo costrinse
temporaneamente a lasciare il convento, ma nel 1245, con la maggiore età, “poté
riprendere il cammino in risposta alla chiamata di Dio”. Fu inviato a Parigi –
ha detto il Papa - per studiare teologia sotto la guida di un altro santo,
Alberto Magno, sul quale ho parlato recentemente. Alberto e Tommaso strinsero
una vera e profonda amicizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto
che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, dove egli
era stato inviato dai Superiori dell’Ordine a fondare uno studio teologico.
Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e
dei suoi commentatori arabi, che Alberto illustrava e spiegava. In quel
periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata
dall’incontro con le opere di Aristotele, che erano rimaste ignote per molto
tempo.
Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno – ha ricordato
Benedetto XVI - svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia
della filosofia e
della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo
Aristotele e i suoi
interpreti, procurandosi nuove traduzioni latine dei testi
originali in greco.
In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e
ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di
Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel
quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha
mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile
con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così
egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.
Per le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu
richiamato a Parigi come
professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò
anche la sua
produzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha
del prodigioso:
commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di
teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di
Aristotele, opere sistematiche poderose, tra cui eccelle la Summa Theologiae, trattati e discorsi su
vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni
segretari, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, che lo seguì
fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, caratterizzata
da una grande confidenza e fiducia.
Il Pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima,
gli commissionò la
composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini , che celebriamo domani,
istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima
squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta
per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del
Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza
teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, probabilmente,
dirigeva uno Studium.
Nel 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di
insegnamento. Gli
studenti - si può capire - erano entusiasti delle sue
lezioni. Un suo ex-allievo
dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva
i corsi di
Tommaso, tanto che le aule riuscivano a stento a contenerli e
aggiungeva, con
un’annotazione personale, che "ascoltarlo era per lui
una felicità profonda".
L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era
accettata da tutti, ma persino i suoi avversari in campo accademico, come
Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso
era superiore ad altre per utilità e valore e serviva da correttivo a quelle di
tutti gli altri dottori.
Gli ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano
circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa direi. Nel dicembre del 1273
chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comunicargli la decisione di
interrompere ogni lavoro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso,
in seguito a una rivelazione soprannaturale, che quanto aveva scritto fino ad
allora era solo "un
mucchio di paglia…”.
La vita e l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino – ha detto
Papa Benedetto - concludendo la catechesi - si potrebbero riassumere in un
episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito,
era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella Cappella di San
Nicola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì
svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto
sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: "Tu hai parlato bene di me, Tommaso.
Quale sarà la tua ricompensa?". E la risposta che Tommaso diede è
quella che anche noi, amici e discepoli di Gesù, vorremmo sempre dirgli: “Nient’altro che Te, Signore!"
Nel gennaio del 1274 papa Gregorio X gli ordinò di presenziare al II Concilio
di Lione , per verificare
in cosa consistessero le divergenze tra la Chiesa latina e quella greca, e se fosse possibile appianarle;
Tommaso, anche se non in buone condizioni di salute, si mise in viaggio. Durante il
tragitto si fermò presso il castello di Maenza, da sua nipote Francesca
maritata con il conte Annibaldo de Ceccano, signore di Maenza, ma la sua malattia si aggravò. Dal momento che
desiderava finire i suoi giorni in un monastero, e non essendo in condizione di
raggiungere un convento domenicano, fu portato all'Abbazia
cistercense di Fossanova,
a poca distanza dal borgo di Priverno, dove, al termine di una malattia durata
qualche settimana, morì il 7 marzo 1274. La sua tomba si trova presso il convento des Jacobins a Tolosa, in Francia.
De Ente et Essentia (la Metafisica di San
Tommaso)
L'opuscolo
filosofico De Ente et Essentia
("Sull'ente e l'essenza") è sempre stato considerato un sintetico
compendio della metafisica tomista e per questo ha attirato l'interesse di
molti commentatori e studiosi fin dal secolo XIII.
Per quanto riguarda il periodo di composizione
dell'opuscolo non vi è dubbio che esso faccia parte degli scritti giovanili di
Tommaso. Tolomeo da Lucca afferma che fu scritto a Parigi, nel corso dei primi
anni di insegnamento, quando Tommaso non era ancora maestro, ma propriamente
Baccelliere Biblico, ossia assistente di cattedra che teneva lezioni e svolgeva
un ruolo preciso nelle dispute.
Il motivo della composizione e i destinatari
dell'opera possono essere desunti dalla dedica "ad fratres et socios",
ai confratelli ed ai compagni di studi. Fu probabilmente scritta per i compagni
dell'Ordine che, giunti a Saint Jacques (il convento domenicano presso
l'università di Parigi) per gli studi superiori, erano probabilmente spiazzati
dalla novità rappresentata dall'uso delle nozioni filosofiche tratte dalla
Metafisica di Aristotele.
Seguiamolo in questo suo itinerario.
De Ente et Essentia ("Sull'ente e l'essenza")
E’ l’opuscolo scritto da Tommaso nel quale il
filosofo-santo cerca di spiegare ai suoi studenti il concetto di Ente e quello
di Essenza e il loro rapporto, per arrivare a dimostrare che la realtà in-segna Dio. E’ composto dal prologo e da 6 capitoli:
Ø PROLOGO: delinea
l’intento dell’opera ed il suo metodo; ovvero
come una chiarificazione dei concetti fondamentali della metafisica e del loro
uso filosofico si sviluppa per gradi, secondo una propedeuticità che si modella
sul modo di procedere della nostra intelligenza: a partire da
ciò che le è più noto per giungere a ciò che è meno noto.
Ø 6 CAPITOLI: chiarificano
i concetti fondamentali della metafisica ed il loro uso in filosofia
Che cos’è l’ente
Ø
Tommaso chiarisce che il termine è ricavato dal verbo essere, e
sta dunque in primo luogo a designare che l’ente è la cosa che possiede l’atto di essere
Ø
L’ente è ciò che è più noto a noi e per
questo partiamo da lui. L’ente è l’esistente, ciò che
abbiamo di fronte. L’ente è anche una delle prime nozioni del nostro
intelletto, come Tommaso ricorda citando Avicenna
Ø
Ente reale: è ciò che è presente nella
realtà e che si distingue nelle dieci categorie enumerate da Aristotele (la più
importante delle quali è la Sostanza)
Ø
Ente logico: è tutto ciò che viene
espresso, tramite copula (è), in una proposizione affermativa senza che alla
proposizione debba necessariamente corrispondere qualcosa di reale. Es.: la
cecità è nell’occhio. Infatti non esiste la cecità, caso mai esistono occhi che
non vedono. La cecità è un concetto astratto, un concetto logico, sta solo
nella nostra mente. La cecità è un ente logico.
L’Ente
reale e l’essenza
Essenza: dal latino essentia,
natura di una cosa. Generalmente denota l’elemento formale costitutivo di una
cosa, l’elemento che l’assegna a una determinata specie e allo stesso tempo la
separa da tutte le altre specie.
Generalmente S. Tommaso
adopera il termine essenza per indicare ciò che appartiene necessariamente a
una cosa, e pertanto viene posto nella sua definizione. "L’essenza o natura
comprende in sé soltanto quel che è incluso nella definizione della specie; così
umanità abbraccia solo quel che è incluso nella definizione di uomo; solo per
questo infatti l’uomo è uomo, e precisamente questo indica il termine umanità,
quello cioè per cui l’uomo è uomo" (I, q. 3, a. 3). "L’essenza
propriamente è ciò che viene espresso dalla definizione. Ora la definizione comprende
i principi specifici e non quelli individuali. Perciò nelle cose composte di
materia e forma l’essenza non significa né la sola forma né la sola materia ma
il composto di materia e di forma in universale (ex materia et forma
communi), in quanto sono principi della specie" (I, q. 29, a. 2).
Ø
Tommaso
si sofferma sull’ente reale, l’unico per il quale ha senso parlare di essenza
Ø
L’essentia è ciò che una
cosa è, ciò
che fa si che quella cosa sia ciò che è, ovvero la sua quidditas (ciò che risponde alla domanda “quid est?”, “che
cos’è?”).
Ø
L’essenza comprende non solo la forma, ma anche la materia o la natura.
Ø
La sola forma
caratterizza le cose a sostanza semplice (per es. gli Angeli, sono esseri spirituali e non hanno
materia), forma e materia insieme caratterizzano
le cose a sostanze composte, giacché comprende tutto ciò che è espresso nella
definizione della cosa
Le sostanze composte
Ø
L’essenza delle cose composte è data dalla forma e dalla materia insieme.
Per es.: l’uomo è un animale razionale.
L’animalità è la materia, la razionalità è la forma (riscontrabile con il
comportamento).
Ø
Dall’essenza così intesa si distingue l’essere (“esse”) o l’atto d’essere (“actus essendi”), ovvero l’esistenza
La Materia, diceva
Aristotele, è il principio per cui la cosa si potesse individuare. Ma allora
sono individuabili solo le cose individuali, col rischio di cadere nel
nominalismo. Tommaso risponde osservando che la materia che entra nella
definizione è quella generica, nel precedente esempio l’animalità o la corporeità. Non entra nella definizione la Materia Signata (designata o ben determinata) cioè
quella della persona specifica di cui si parla (il corpo di Socrate piuttosto
che quello di Cesare). Tommaso, come Aristotele,
riprende il discorso del Genere e della Specie, cioè concetti più generali, e
concetti più particolari fino all’individuo.
Ogni ente reale ha una
essenza e questa essenza è la potenza.
Una essenza da sola non spiega l’esistenza di una determinata cosa. L’essenza è
la potenza d’essere, ma non necessariamente l’essere. Es.: se dico cavallo alato la sua essenza è chiara,
ma manca l’essere, perché il cavallo alato in natura non esiste, è nella mente
dell’uomo, ma non nella realtà. È una pura fantasia è un simbolo. Perché una
potenza diventi atto, sappiamo che ci vuole qualcuno o qualcosa che permetta
che la potenza si trasformi in atto. Noi tutti siamo delle essenze in atto, la
nostra esistenza è reale. Questo vuol dire che c’è bisogno di un ente,
necessariamente in atto, che faccia si che le essenze esistano, che dia alle
cose l’actus
essendi, l’esistenza.
Per “atto
d’essere” Tommaso intende l’esistenza, cioè, l’atto grazie al quale le essenze
che hanno l’essere solo in potenza di fatto esistano.
1.
Tutti noi
abbiamo l’essere, ma non siamo l’essere.
2.
Tutti noi riceviamo l’esistenza, da altro, ma la
nostra essenza non necessariamente esiste.
3.
C’è un solo un ente in cui essenza
ed esistenza sono la stessa cosa: Dio.
4.
Noi siamo esistenti in atto e abbiamo avuto bisogno
che qualcuno ci abbia posto in atto, cioè di un ente in atto che ci abbia posto
in atto.
5.
In cima alla piramide ci deve essere qualcuno che
non deve aver bisogno di essere messo in atto, perché in Lui essenza ed
esistenza sono la stessa cosa: Dio atto puro.
6.
Solo Dio può dire io sono l’essere. Noi
possiamo solo dire che abbiamo l’essere (qualcuno ce l’ha dato). Io sono colui che è è la
risposta di Dio a Mosè che gli chiede il suo nome, che per un ebreo il nome è
l’essenza della persona. Dio è l’essere.
7.
Dio
è l’essere, tutte le creature ricevono l’essere.
8. L’esistenza, nelle creature è in potenza, solo in Dio coincide con
la sua essenza
Il mondo e la partecipazione
Ogni ente in cui si
distinguono l’essenza e l’esistenza, ossia ogni realtà che ha l’essere
ma non è l’essere, deve per forza aver ricevuto l’essere da altro e
precisamente da un essere che, non derivando la propria esistenza da altro, è,
esso stesso, l’Essere.
Dio e la partecipazione
L’aggiunta
dell’esistenza all’essenza esige l’intervento creativo di un Essere che avendo
l’esistenza per essenza risulti in grado di farne partecipi altri esseri.
Tale è il caso specifico
di Dio secondo la definizione che Egli ha dato di sé nell’Esodo (Ego sum qui
sum, “Io sono colui che sono”).
“Non è necessario che esista io, non è
necessario che esistiate voi. Dio invece deve esistere, perché altrimenti
null’altro potrebbe esistere. Difficilmente potreste dubitare della vostra
esistenza: sarebbe contro il principio di contraddizione. Se, infatti, non
esisteste, come potreste dubitare di qualcosa? Voi esistete dunque, ma la
vostra esistenza non è autonoma. L’avete ricevuta da genitori e antenati,
dall’aria che respirate, dai cibi e dalle bevande che prendete. I fiumi hanno
ricevuto anch’essi l’esistenza, e così i monti, la terra stessa e tutto il
resto dell’Universo. Ora se l’Universo intero è un sistema di ricevitori di
esistenza, ci deve essere anche un datore. E se a sua volta questo datore
avesse ricevuto l’esistenza non sarebbe il datore, ma un altro di quelli che
ricevono. Dunque, il primo datore deve possedere un’esistenza autonoma. Dev’essere
esistenza. Questo datore noi chiamiamo Dio. Potete contraddire?” (san Tommaso
d’Aquino).
Creazione
Ø
La creazione dunque consiste nell’aggiunta dell’esistenza
all’essenza, cioè nell’atto in cui le essenze, passando dalla potenza all’atto,
esistono realmente.
Ø
Essa implica Partecipazione e Analogia
Partecipazione e Analogia
Ø
Dio creando, rende le creature partecipi dell’essere
Ø
Dio è l’essere, le cose ricevono da Lui l’essere
Ø
Io che esisto partecipo all’essere, ma non sono l’essere
Ø
C’è un rapporto di analogia tra l’essere necessario (Dio) e gli
esseri contingenti (noi e le cose)
Ø
Tommaso teorizza la diversità pur nella somiglianza (no al
panteismo)
L’idea di Segno
L’idea di segno
ha un ruolo fondamentale nella cultura medievale:
Ø
“L’uomo medievale vede simboli in ogni dove. Per lui l’esistenza
non è fatta di elementi, di energie e di leggi, ma di forme. Le forme
significano se stesse, ma al di sopra di sé indicano qualcosa di diverso, di
più alto, ed infine l’altezza in se stessa, Dio e le cose eterne. Perciò ogni
forma diviene un simbolo e dirige gli sguardi verso ciò che la supera. Si
potrebbe anche, e più esattamente, dire che essa promana da qualche cosa di più
alto, che sta al di là.”
Il Segno
Ø
Una cosa che si vede e si tocca e che nel vederla e toccarla mi
muove verso altro, come si chiama? Segno. Il segno quindi è una esperienza
reale che mi rimanda ad altro. Il segno è una realtà il cui senso è un’altra
realtà.
Ø
“Se nell’impatto con l’uomo il mondo funziona come un segno,
dobbiamo dire che il mondo dimostra qualcosa d’Altro, dimostra Dio come un
segno dimostra ciò di cui è segno”.
La Realtà come segno
Ø
Dante stesso, scrivendo la Commedia, ha ben presente che la realtà
è segno di Dio:
“Le cose tutte quante
hanno ordine tra di loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa somigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma dell’etterno valore, il qual è fine al quale
è fatta la toccata norma.”
PARAFRASI: Tutte le cose
create sono ordinate fra loro, in modo da costituire un tutto armonico, e
questo ordine è la forma, il principio essenziale, che rende l’universo simile
a Dio. In questo ordine dell’universo creato, le creature superiori riconoscono
il segno della potenza e sapienza del Creatore, il quale è il fine ultimo da
cui si genera e a cui tende l’ordine sopraccennato.
Ø
Dalla realtà, che non esaurisce il suo significato in se stessa,
l’uomo può risalire all’esistenza di Dio con la propria ragio
Ø Tommaso stesso dice: “Non
possiamo conoscere Dio scorgendone l’essenza, ma solo in base al tessuto
dell’universo. Dio ci ha posto davanti agli occhi la somma delle
creature, affinché Lo riconosciamo in esse: l’universo, infatti, è col suo
ordine quasi un ritratto e ha una debole somiglianza con la natura divina che
ne è modello e archetipo.”
Conclusione
Ø
E’ necessaria l’esistenza di Dio
Ø
La realtà è segno di Dio
Ø
La creazione è una comunicazione d’Essere
Le sostanze semplici
Consideriamo ora le
sostanze semplici, sostanze che sono pura forma. Tommaso rifiuta l’Ilemorfismo.
Con la denominazione di “ilemorfismo universale”
è stata indicata, nella Scolastica Medievale, la dottrina secondo cui tutte le
realtà create sono composte da una unica forma e una unica materia. Padre di
questo pensiero è il filosofo ebraico vissuto in Spagna conosciuto ai latini
come Avicébron. Molto semplicemente si pensava che anche gli Angeli, purissimi
spiriti, avessero una materia: materia
spiritualis.
Per Tommaso invece gli angeli, come
l’intelligenza, la bellezza, sono pura forma, e se sono pura forma sono semplici. Ma
nonostante non abbiano una materia hanno una composizione, quella fra Essenza e
Esistenza. Quindi anche le sostanze semplici hanno l’Essenza che poi Dio fa essere in atto, cioè le fa esistere.
L’Esistenza è qualcosa che si aggiunge per intervento divino. Anche gli angeli
debbono dire che hanno l’essere, ma non sono l’essere. Essi partecipano
dell’essere, prendono parte all’essere, tramite l’atto con cui Dio li fa
esistere. Solo in Dio coesistono essere ed essenza.
L’essere in ANALOGIA
con Dio
Tutto ciò che è è nell’essere, in Dio essenza ed essere cono
la stessa cosa, in noi non sono la stessa cosa ma convivono perché Dio ci
aggiunge l’essere con un suo atto creatore. Posso dire che io, come Dio esisto,
ma in me l’essenza e l’essere sono disgiunti e uniti con un atto di Dio.
Tommaso dirà che noi siamo l’essere in analogia
con Dio, ma non proprio come Dio. Io ci sono, come c’è Dio, ma in me
l’esistenza l’ha messa Dio. Tutto parte dal concetto base di tutta la filosofia
realista che afferma che il pensiero rispecchia la realtà.
Importanza della
Ragione
“La capacità di levarsi sopra il
sensibile, sopra il fenomeno, cioè quello che puoi vedere e toccare, è
propriamente ciò che noi chiamiamo pensiero. Se non facciamo questo non si può
dire propriamente che pensiamo. Il pensiero così definito è ciò che ci
differenzia dall’animale. L’animale infatti non va oltre le sensazioni e
l’intuizione del sensibile, ed è per questo che l’animale non ha religione”.
Torniamo quindi sul discorso che Dio può essere conosciuto dalla ragione.
L’esistenza di Dio e gli attributi di Dio non sono propriamente oggetti di fede
(di qualunque religione), così come alcuni aspetti di come è fatto Dio. Sono
implicitamente contenuti nella Divina Rivelazione. Se Dio si rivela vuol anche
dire che Dio esiste. Ma questo comunque è materia della ragione. È la ragione che capisce che Dio esiste
(non crede, ma capisce).
San Tommaso spiega che l’esistenza di Dio non è a
noi evidente di per se stessa, per il fatto che non è raggiungibile dai sensi.
Niente ci può essere dentro la nostra testa, cioè pensabile da noi, se prima
non è passato attraverso i sensi (Aristotele). Non può cioè passare da solo, ma
ha bisogno di essere traghettato nella nostra mente attraverso le cose,
attraverso la realtà che ci circonda.
Grazie alla realtà riconosciuta attraverso un
esercizio rigoroso della ragione e un altrettanto rigoroso esercizio di
astrazione, noi capiamo che Dio esiste. Come avviene questo processo? Avviene
così: noi constatiamo un fatto nella realtà e che questo fatto non rende
ragione della nostra esistenza, la cosa non si spiega da sé. Dunque dimostrato
che questa cosa non si spiega da sé, concludiamo che deve esserci, fuori dal
mondo dell’esperienza, una realtà che non può essere raccolta dai sensi, ma che
è esigita, cioè se ne richiede l’esistenza, a motivo del fatto che la realtà,
colta dai nostri sensi, non si spiega da sé, non rende ragione della propria
esistenza.
Si arriva allora a capire che fuori dal mondo
della propria esperienza deve esistere un realtà che tutti chiamano Dio, che
rende ragione dell’esistenza stessa del mondo, mondo che non ha in sé la
ragione della propria esistenza.
Partendo da questa considerazione capiamo allora
lo scopo delle famose cinque vie di San Tommaso, cioè cinque vie che offrono
una via rigorosa alla ragione che parte dalla realtà che concepisce e capisce
l’esistenza di Dio.
Le cinque vie del
dottore angelico
Le cinque vie sono gli argomenti cosmologici con cui San
Tommaso d'Aquino "prova" L’esistenza di
Dio. Tommaso non dimostra il Cristianesimo, ma mette la ragione al servizio della fede dimostrando la ragionevolezza del
credere, anche se questo è essenzialmente un dono della grazia.
Secondo Tommaso l'esistenza di Dio
non può essere provata a
priori come affermava Sant'Anselmo
d'Aosta : per accettare l'argomento ontologico dovremmo conoscere l'essenza di Dio,
il che, in questa vita, non si dà. Rimangono valide le prove a posteriori, che Tommaso
sintetizza in cinque vie che portano all'esistenza di Dio.
Una versione sintetica di questi
argomenti è presente nella Summa Theologiae, mentre se ne può trovare una
discussione più approfondita, anche se solo di alcuni, nella Summa contra Gentiles.
Proponendo queste vie, Tommaso intende mostrare
la stringente ragionevolezza di pensare ad un fondamento metafisico del mondo - il cui stesso essere non dipende
da sé, non trova in sé la propria giustificazione -, ma esplicita anche
chiaramente che non si tratta affatto di tentare di dimostrare il Cristianesimo: la Redenzione, in quanto fatto storico, non può
essere razionalmente dimostrata, ma va conosciuta mediante un opportuno ed
attento studio delle fonti, in sostanza della Bibbia; lì si potranno riscontare i motivi
di ragionevolezza del credere, anche se la decisione ultima sarà sempre lasciata
alla libera volontà di accettare o meno la Rivelazione, ed anche se il credere risulterà, alla fine, essenzialmente
un dono della grazia.
Come osservazione comune
a tutte le vie, si noti che Tommaso muove sempre le sue considerazioni da
qualcosa che sia empiricamente osservabile: un ente che muta, un ente che si
genera, ecc.
Prima via: il moto o
cambiamento (Ex Moto)
La prima via è la più rigorosa e parte
dall'osservazione del movimento. Nel mondo noi osserviamo
che le cose, cioè la realtà che ci circonda e noi stessi viviamo una continua
trasformazione, un continuo mutamento. In questo momento noi non siamo più gli
stessi di ieri perché il nostro fisico e la nostra mente nel frattempo si sono
evoluti, cioè sia il nostro corpo che le nostre funzioni intellettuali hanno
elaborato cose che sono diverse da quelle di ieri e questo comporta un diverso
modo di agire e di pensare rispetto a quello di ieri. Ma anche la realtà che
ci circonda cambia continuamente. Il crescere di una pianta, come l’evolversi
della nostra intelligenza, l’apprendimento nell’ascolto, la nostra emotività
nello scambio delle relazioni umane, tutto questo è mutamento, cioè una grande
fabbrica di continui e macroscopici e microscopici mutamenti. Il filosofo però
va oltre il fenomeno e si domanda quali sono i meccanismi, come funziona questa
cosa? Da dove viene questa prodigalità di energie. Il dottore angelico, cioè Tommaso, ci suggerisce di riportare (sempre)
le cose grandi a quelle più piccole, più semplici, più familiari, più vicine a
noi perché così ce le fanno capire.
Prendiamo per esempio un
pentolino pieno di acqua fredda. Lo mettiamo sul gas perché si scaldi volendo
noi farci un bel thé. Abbiamo provocato un mutamento, l’acqua passa dal freddo
al caldo. Questo perché l’acqua fredda è fredda in atto, ma ha la possibilità di diventare calda, cioè è calda in potenza.
Cioè l’acqua ha la
possibilità di passare dall’essere in potenza calda, all’atto di essere calda
davvero. Come avviene il passaggio dal freddo al caldo, cioè il passaggio dalla
potenza all’atto? Solo in virtù di una cosa che è già in atto, cioè del fuoco
che già possiede il calore. L’acqua fredda pur essendo in potenza calda non
poteva diventare calda se non grazie a chi il calore lo possiede già in atto,
il fuoco. Il fuoco, calore in atto, comunica all’acqua, calda solo in potenza,
quello che le serve per passare dalla potenza all’atto, di essere cioè pure lei
calda. Morale non è possibile passare dalla potenza all’atto se non c’è
qualcosa che provoca questo mutamento, qualcosa che ha già di per sè l’atto che
serve per provocare il cambiamento. L’acqua non ha in se la capacità di
mutarsi, ha bisogna di una potenza in atto esterna.
Domandiamoci ora, ciò
che ci ha fatto passare dalla potenza all’atto a sua volta come ci è passato
dalla potenza all’atto? Tommaso, sulla scia di Aristotele spiega questo così
“tutto ciò che muta ha bisogno di un principio per il proprio mutamento, Il
passaggio dalla potenza all’atto avviene in virtù di una cosa che è già in
atto, tutto ciò che si muove, si muove perché è mosso da altro”. Ma anche l’altro
è a sua volta mosso da chi è in grado di provocare il mutamento, cioè di farlo
passare dalla potenza all’atto. Nella nostra esperienza non troviamo nulla che
ci possa spiegare cosa sta all’origine di questa catena di mutamenti che
andando a ritroso sembra perdersi nell’infinito. Chi riesce a far passare dalla
potenza all’atto qualcosa, senza aver bisogno a sua volta di una potenza in
atto?
È quindi più che
necessario che esista una realtà che sia all’origine di tutti i mutamenti, del
divenire, delle trasformazioni che ci sono nel mondo senza essere essa stessa
soggetto di queste trasformazioni. Ma nella nostra esperienza una realtà così
non c’è. Il mondo non ha in se la ragione del proprio mutamento. Noi questa
ragione la dobbiamo postulare, pur non vedendola, perché questo ce lo esige ciò
che noi constatiamo nei fenomeni della realtà.
Una realtà cioè che sia una sorgente, una prodigalità di attività e di
vita che sia all’origine di tutta la vita che c’è nel mondo senza che essa
abbia bisogno di riceverla da un altro. Questo è ciò che tutti chiamano Dio.
Ragionando sulla realtà
si arriva a capire che esiste al di fuori della propria esperienza una realtà
che tutti chiamano Dio, che rende ragione dell’esistenza stessa del mondo, e
che il mondo non ha in se.
Riassumendo. Se osservo
un qualsiasi mutamento, devo necessariamente presupporre un motore, cioè un agente che
abbia originato il mutamento; tale motore, per muovere, deve essere in atto, poiché ciò che è in potenza non agisce di fatto, ma
soltanto può farlo; ora ci sono due possibilità: o quel motore è sempre in
atto, ed è Dio, o ha avuto bisogno di un ulteriore motore che lo portasse dalla
potenza all'atto affinché potesse muovere; in questo secondo caso, il motore
responsabile del primo movimento (indipendentemente da quanti siano i motori
intermedi) dovrà per forza essere sempre in atto, altrimenti non lo sarebbe
nessuno degli altri motori, ed io non osserverei nessun mutamento. Ed anche se
i motori in potenza fossero infiniti, resta il fatto che non potrebbero,
essendo tutti in potenza appunto, produrre una sola cosa in atto. Ma siamo
partiti proprio dal fatto che un qualche movimento in atto si dà ed è
osservabile. Il primo motore che, essendo immobile e sempre in atto, pone in
attività i motori successivi è ciò che chiamiamo Dio.
In sintesi:
1.
è evidente che
in questo mondo le cose si muovono,
2.
muovere è far
passare qualcosa dalla Potenza all’Atto,
3.
dunque è
necessario pervenire ad un primo immobile,
4.
che muova e non
sia mosso da nessuno,
5.
che tutti
ritengono naturale essere Dio
Seconda via: la causalità
efficiente (Ex Causa)
La seconda via parte dalla causalità
efficiente: si procede in modo analogo al precedente, applicando il
procedimento al fatto che osservo l'esistenza di realtà che non si spiegano da
sé, ma sono effetto di qualcos'altro; anche in questo caso deve esistere una
causa efficiente prima, che chiamiamo Dio, altrimenti ogni effetto sarebbe solo
una possibilità, mai niente di reale (attuale).
Si noti, qui, che Tommaso usa sì
termini e concetti aristotelici, ma procede molto oltre Aristotele stesso, in
quanto lo Stagirita non ammetteva che Dio fosse causa efficiente (causa che
produce un effetto) del mondo, ma sosteneva che ne fosse solo causa finale. In
sintesi:
1. è evidente che ci sono cose che cominciano ad esistere,
2. bisogna allora ammettere una prima Causa Efficiente incausata,
3. solo Dio è ragione di sé e causa di tutto ciò che è distinto da sé.
Terza via: contingenza e necessità
(Ex Possibili et
Necessarium)
La terza via parte dalla riflessione
sulla contingenza: l'esperienza ci attesta che
esistono cose che possono essere come non essere, cioè sono contingenti, ossia
sono tali che la loro essenza non comprende l'esistenza; ma cose siffatte
talvolta sono talvolta no; posta la domanda se ogni cosa sia contingente o se
esista qualcosa di necessario, dobbiamo escludere la prima ipotesi: infatti, se
tutto fosse contingente, sarebbe inevitabilmente capitato, in passato, un
momento in cui tutto non era; il che è falso perché altrimenti ora non ci
sarebbe niente; dunque, deve esistere qualcosa di necessario, ossia qualcosa la
cui essenza comprenda l'esistenza: tale cosa tutti chiamano Dio.
Il discorso, naturalmente, non vuole
dimostrare che il mondo sia eterno. Anzi, i cristiani sanno che la creazione
implica un inizio temporale dell'universo. L'intento di Tommaso, qui, è solo di
mostrare la ragionevolezza dell'esistenza di Dio. In sintesi:
1.
È
evidente, che tutto ciò che compone la realtà sensibile è corruttibile,
2.
quindi
la realtà non può avere in sé la ragione della propria esistenza,
3.
deve
dipendere da un altro la cui essenza sia il suo stesso atto d’essere.
4.
Questo
Necessario è Dio.
Quarta via: i gradi
dell'essere (Ex Gradu Perfectionis)
La quarta via riflette sui gradi di perfezione: se possiamo osservare, nel mondo,
cose con una "perfezione" (qualità, potremmo dire) posseduta in grado
più o meno elevato (ad esempio: cose più o meno buone), dobbiamo ammettere
l'esistenza di quella perfezione ad un livello massimo (la bontà assoluta, nel
nostro esempio); tale livello assoluto di perfezione, richiesto dal relativo
che noi vediamo, è normalmente chiamato Dio. In sintesi:
1.
È
evidente, che nella realtà ci sono diversi gradi di perfezione.
2.
La
perfezione pura è invece tutta e solo se stessa, senza aumenti o diminuzioni.
3.
Le cose
non perfette non possiedono la perfezione assoluta,
4.
non
possono darsela e per averla devono riceverla dalla perfezione stessa,
5.
cioè
Dio, perfezione delle perfezioni.
Quinta via: finalità o
ordine del mondo (Ex Fine)
La quinta via parte dalla
considerazione che oggetti naturali non dotati di volontà agiscono in modo
ordinato e finalizzato (vegetali, animali, astri, ecc. cosa su cui, come è
facile notare, si rende possibile la costruzione della scienza); il che
richiede che un essere intelligente abbia dato razionalità al cosmo:
quest'essere è quello che chiamiamo Dio. Riassumendo:
1.
È evidente, che ogni ente agisce in vista di un
fine, senza uno scopo tutto resterebbe inerte.
2.
Il
finalismo di cose e persone deve farsi risalire al pensiero Assoluto.
3.
Tale
Pensiero Assoluto è Dio, suprema sintesi di Pensiero-Essere ed Essere-Pensiero,
4.
cioè
Essere Sussistente.
L’essere è la più perfetta
di tutte le cose
L’essere conosciuto in Dio è partecipato negli
enti, cioè nelle cose, nelle persone, in me, in ciò che esiste. Che cosa ci
spiega la filosofia di san Tommaso sull’ente, sulle perfezioni dell’ente.
Abbiamo visto che l’uomo con la ragione conosce Dio e lo conosce come
esistente, ma conosce anche le perfezioni delle cose che ci circondano. Fra
tutte le cose l’essere è la più perfetta. È la sede di tutte le perfezioni. Ciò
che chiamo l’essere è l’attualità di tutti gli atti, di tutte le possibilità
che vengono attuate, quindi le perfezioni, e quindi è la perfezione di tutte le
perfezioni.
Quali sono queste perfezioni? Sono caratteri che
qualificano l’essere in quanto tali e che per ciò stesso competono ad ogni
ente. Ogni ente, io, il mio gatto, la pianta del mio giardino, il sasso lungo
la strada, la luna, ecc. l’ente in quanto ente ha queste perfezioni: UNUM,
VERUM, BONUM.
·
UNUM: ogni cosa in
quanto esistente è una, cioè si oppone alla divisione, è se stessa
·
·
VERUM: in quanto è se
stessa è vera, è corrispondente alla sua essenza, è la verità di se stessa
·
BONUM: per questo è
buona, cioè corrisponde alla propria natura e alla propria finalità. È desiderabile.
Infatti ciascuno di noi desidera talmente se stesso, concepisce la
desiderabilità di se stesso che vuole perseverare nell’essere.
Tutti gli enti oppongono una certa resistenza,
tanté che anche un sasso per poterlo spaccare dobbiamo dargli delle martellate,
oppure una resistenza a perdere la propria identità, la propria verità e quindi
la propria desiderabilità.
·
PULCRUM: La sintesi di
queste tre proprietà dell’ente in quanto ente è il pulctrum, cioè quanto una cosa è unica, vera e buona è in estrema
sintesi bella. La realtà è bella, l’essere è bello. C’è una bellezza in tutto
ciò che esiste in quanto esiste.
Programma
della seconda Tappa:
I Lumi del Medioevo
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